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12/06/2014 06:00:00

Il ritorno di Calcara. Il pentito scrive al Papa: "So che fine ha fatto Emanuela Orlandi"

 Torna a fare parlare di se una delle figure più controverse del mondo della mafia - e dell'antimafia - siciliana, Vincenzo Calcara. La sua storia è molto nota: incaricato dalla famiglia mafiosa di Messina Denaro di uccidere Paolo Borsellino, Calcara si sarebbe pentito nelle mani del giudice, poco prima della strage di Via D'Amelio. Molto legato alla famiglia Borsellino e ad Antonio Ingroia, Calcara è stato comunque ritenuto non attendibile in diversi procedimenti, e, soprattutto, è un po' fumoso quando parla dei rapporti tra mafia, massoneria e Vaticano. Proprio su questo argomento è intervenuto Calcara in una lettera a Papa Francesco.

``Sua Santita`, desidero rivelarle tre importantissimi segreti, improrogabili e urgenti, che mi spingono a chiederle udienza al piu` presto, perche` sono convinto che il nostro incontro deve e puo` cambiare il corso di certi eventi``. Calcara ha chiesto di incontrare il Pontefice per fare alcune rivelazioni, riguardanti anche il giallo di Emanuela Orlandi, la figlia di un funzionario pontificio scomparsa a Citta` del Vaticano il 22 giugno 1983, quando aveva quindici anni.

In una missiva di sei pagine, Calcara parla di un segreto di mafia, uno di Stato e di un terzo e ``piu` forte sulla nostra Santissima Chiesa e di cui vorrei parlale direttamente a voce, tanto e` grave e potente, che riguarda anche la scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi``. ``La Verita` - prosegue Calcara - su questa vicenda e` stata tenuta nascosta per anni perche` rivelarla sarebbe stato come aprire una scatola e portare alla luce verita` cosi` pensanti da mettere seriamente in crisi un sistema che lega il Vaticano alle altre entita` deviate``. Da anni Calcara sostiene l`esistenza di 5 entita` malvagie ``che governano ogni aspetto del Paese``: Cosa nostra, `ndrangheta, massoneria deviata, servizi segreti deviati e Vaticano deviato. Nello specifico, gli altri due ``segreti`` riguarderebbero il boss latitante Matteo Messina Denaro, concittadino di Calcara, e ``certi meccanismi perversi all`interno dei vertici istituzionali``.

I 3 segreti, secondo il collaboratore di giustizia, sarebbero ``legati l`uno all`altro, oltre ad alcuni fatti di altissimo livello, che non posso rivelare alle Istituzioni, proprio perche` allo stato attuale firmerei la mia condanna a morte e il seppellimento definitivo della Verita` in mio possesso``. Il pentito ammette di non aver riferito tutto alla magistratura. ``Le spieghero` - si legge ancora nella lettera rivolta a Papa Francesco - perche` e quali tasselli decisivi mancano, affinche` si abbia la piena conoscenza di mandanti ed esecutori delle peggiori nefandezze che hanno attentato al nostro Paese e gli agguati passati e futuri che certi personaggi sono pronti a realizzare``.

Comunque, nulla di nuovo. Delle cinque entità Calcara parla già nel suo blog. «Un giorno - racconta - nel settembre del 1991, sono stato convocato dal mio capo assoluto della mia famiglia di Trapani, Francesco Messina Denaro. Mi spiegarono di tenermi pronto, era stata decisa la morte di Paolo Borsellino: era un grande onore per me, avrei fatto strada dentro Cosa nostra. Sapevo l' odio che c' era dentro Cosa nostra e oltre Cosa nostra. Quando dico oltre intendo dire tutte quelle entità che sono sempre state collegate con Cosa nostra. E lui di questo ne era ben cosciente».

Tutto, comunque, è programmato: Vincenzo Calcara deve uccidere il giudice Borsellino. Ma succede l' imprevedibile: il giovane "picciotto" di Castelvetrano non può adempiere alla sua missione perché il 5 novembre viene arrestato e sulla sua pelle prova il rischio di essere ucciso, a causa di uno sgarro d' onore, dagli stessi picciotti chiusi in carcere. Un evento che incredibilmente lo avvicina alla sua vittima, come Calcara spiega «proprio in quei momenti mi veniva in mente Borsellino e mi rendevo conto di avere in comune una cosa: la morte. In lui vedevo la mia speranza perché capivo che se lui riusciva a salvarsi salvava anche me».