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17/02/2017 07:00:00

Muore a cinquanta anni dopo dimissioni da pronto soccorso. 20 indagati a Castelvetrano

 12,00 -   La direzione strategica aziendale dell’ASP di Trapani dopo il decesso di Tommaso Grosso all’ospedale di Castelvetrano, ha chiesto una relazione sull’evento al primario del reparto di chirurgia e accettazione d’urgenza del nosocomio, Domenico Ferrara, dalla quale si evince che il paziente non è stato dimesso dal pronto soccorso ed è tornato a casa, ma è stato ricoverato al reparto di medicina, dove è deceduto due giorni dopo.

Secondo la relazione di servizio, il paziente, era stato visitato presso il pronto soccorso, già il 23 e 24 dicembre 2016. Dopo 38 giorni, l’1 febbraio 2017, si è recato al P.S. del Vittorio Emanuele di Castelvetrano, e dimesso con la diagnosi “febbre”. E’ tornato il 5 febbraio scorso alle 14, 58, e dopo una permanenza in P. S. in osservazione per circa 30 ore, è stato ricoverato in medicina il giorno 7 febbraio alle ore 02.57 con la diagnosi “addensamenti polmonari bilaterali”. Durante il ricovero sono state eseguite altre consulenze ed esami diagnostici. Il decesso è avvenuto nel reparto di medicina il giorno 9 febbraio alle 01.45 per “arresto cardiorespiratorio in paziente con broncopolmonite bilaterale e insufficienza respiratoria”.

07,00 - Un’altra indagine della magistratura sconvolge la sanità pubblica castelvetranese. Venti avvisi di garanzia, per omicidio colposo, sono stati, infatti, notificati dalla Procura di Marsala ad altrettanti sanitari (medici e qualche infermiere) dell’ospedale “Vittorio Emanuele II” di Castelvetrano.

Il procedimento è scattato a seguito della denuncia presentata dai familiari (moglie figlia) di un uomo di Campobello di Mazara, Tommaso Grosso, di 49 anni, morto nella notte tra il 7 e l’8 febbraio, qualche ora dopo essere stato dimesso dal Pronto soccorso, dove si era recato nel primo pomeriggio del 5 febbraio. Prima di dimetterlo, i medici dell’area di emergenza gli avevano diagnosticato “addensamenti polmonari bilaterali” e una “broncostenosi diffusa”. All’ingresso, gli era stato assegnato il “codice giallo”. Si attende, adesso, l’esito dell’autopsia già effettuata da medici dell’Istituto di Medicina Legale di Palermo.

L’avviso di garanzia è stato notificato a tutti i sanitari che, in qualche modo, hanno avuto a che fare con lo sfortunato paziente. Oltre a quattro medici del Pronto soccorso (Giuseppe Giammarinaro, Tommaso Bartolotta, Antonina D’Angelo e Gabriele Scalisi), anche dei reparti di Cardiologia e Medicina.

Già due o tre giorni prima del 5 febbraio, Tommaso Grosso si era recato al Pronto soccorso e anche in quel caso, dopo essere stato visitato, era stato rimandato a casa. Tra il pomeriggio del 5 e la notte del 7 febbraio non è stato possibile ricoverarlo in alcun reparto perché non c’erano posti letto liberi. E per questo, è rimasto a lungo nell’area d’emergenza.

Un altro caso di presunta “malasanità”, dunque, investe l’ospedale castelvetranese, già nell’occhio del ciclone per il processo che vede imputati, per omicidio colposo, i medici Vito Francesco Cuttone e Cataldo Anzalone. Per i due sanitari alla sbarra il pm Anna Sessa ha già chiesto la condanna, invocando due anni e 9 mesi di reclusione per Cuttone e due anni per Anzalone. Successivamente, però, quando ormai si era alla vigilia della sentenza, il giudice Matteo Giacalone ha accolto la richiesta della difesa di disporre una perizia super partes che possa stabilire chi ha ragione tra i consulenti medici di accusa e difesa. Per questo, il giudice ha nominato due medici legali di levatura nazionale: i professori Arduini e Liberi dell’Università “La Sapienza” di Roma. I due medici alla sbarra sono accusati di non avere compreso la reale gravità delle condizioni di una donna (la 32enne Girolama Leone) che, tre giorni dopo avere partorito una bambina, morì . Il decesso avvenne il 13 maggio 2011 al Policlinico di Palermo – dove la paziente fu trasferita in eliambulanza dopo il parto cesareo d’urgenza eseguito all’ospedale Sant’Antonio di Trapani – per la rottura di un vaso sanguigno del cervello a causa della pressione alta dovuta alla gestosi. “Era chiaro – ha detto il pm Sessa nella sua requisitoria - che bisognava effettuare un tempestivo taglio cesareo. Era l’unica soluzione. Si sarebbero evitate le conseguenze che hanno portato al decesso della paziente”.



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