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25/06/2017 06:00:00

Mafia e politica a Castelvetrano. Dopo lo scioglimento si scopre che Giambalvo...

Siamo proprio sicuri che Giambalvo sia stato un semplice fan di Matteo Messina Denaro? Uno che millantava di aver conosciuto sia lui che il padre Francesco, ma che con la mafia non aveva nulla a che fare?

Quanto questa lettura appartiene alla realtà e quanto invece a comode giustificazioni per allontanare le responsabilità (almeno quelle politiche) relative alla sua candidatura, al suo successivo ingresso in consiglio comunale ed al suo ritorno dopo l’assoluzione di primo grado per mafia?

 

Davvero, come disse l’ex sindaco Errante nel marzo del 2016, non c’era nessun elemento per valutare “la amoralità dello stesso”?

Era dunque soltanto uno dei 150 candidati che lo avevano sostenuto nel 2012, con “posizioni politiche vicine ad un gruppo di un leader provinciale (l’onorevole Ruggirello, ndr)”?

Secondo la relazione sulle motivazioni dello scioglimento per mafia del comune di Castelvetrano, i suoi rapporti di parentela e frequentazione con soggetti controindicati erano invece noti al punto che Giambalvo “non avrebbe dovuto essere neanche candidato”.

Nessuna condizione di incandidabilità oggettiva, in base alle norme vigenti, ma una valutazione in termini di opportunità politica e forse di semplice buon senso.

 

Però, non solo fu candidato lo stesso (nel partito di Errante), ma il sindaco lo fece entrare in consiglio dopo due anni dalle elezioni, attraverso l’escamotage della nomina di Giuseppe Rizzo ad assessore che, dimettendosi contemporaneamente da consigliere comunale, lasciò il posto a Giambalvo, primo dei non eletti del Fli.

Lo scopo, senza dubbio, non era quello di avere Rizzo in giunta, ma Giambalvo in consiglio. Infatti, se davvero il sindaco fosse stato interessato unicamente alle competenze e all’apporto dell’avvocato Rizzo nella sua squadra assessoriale, quest’ultimo avrebbe potuto anche non dimettersi, svolgendo contemporaneamente il ruolo di consigliere e di assessore. Ma, per sua stessa ammissione, Giambalvo “doveva” far parte della rosa dei 30, in virtù di un accordo col movimento di Ruggirello “Articolo 4”. Politica quindi, nient’altro.

Curiosamente, in tanti conoscevano le sue “posizioni politiche vicine a Ruggirello”, ma nessuno sapeva che fosse il nipote del mafioso Vincenzo La Cascia e che si frequentassero.

Certo, Giambalvo è stato assolto. Ma in primo grado. E tra i motivi dell’appello, si legge sempre nella relazione sulle motivazioni dello scioglimento, ci sarebbero anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa (morto nel gennaio scorso, dopo una lunga malattia) “che lo descrive come ‘uno dei componenti della famiglia mafiosa di Castelvetrano al quale è stato affidato il delicato compito di tramite per i rapporti con esponenti mafiosi del mandamento di Alcamo’ in virtù della frequentazione e della parentela con lo zio ..OMISSIS (Vincenzo La Cascia, ndr), elemento di spicco della criminalità organizzata locale, già condannato per il delitto di cui all’articolo 416 bis”.

 

Insomma, ci sono ancora tante cose da riscontrare, ma sul fatto di essere il nipote del La Cascia non c’è mai stato alcun dubbio. C’è poco da “millantare”.

Una parentela che, da quello che emerge dalle carte di Eden 2, avrebbe definito addirittura la sua stessa identità. L’occasione è relativa alla vicenda di un tizio di Gibellina che, avendo preso in gestione un bar a Castelvetrano, per le bevande aveva pensato di rifornirsi appunto a Gibellina.

Giambalvo, che era nella zona una figura predominante per la gestione ed il commercio delle bevande, gli aveva dimostrato il suo disappunto: “…Tu nel mio paese, fammi capire! … Che tu prendi a quelli di Gibellina e gli fai portare la merce qua? … Io fuoco ti do’, a te e a tutto il locale, hai capito?”.

Il tizio allora si rivolgeva ai Ragona di Gibellina ed interveniva u “zu Petru” (anziano capomafia, poi morto nel maggio del 2012), che però riconosceva il Giambalvo e rimproverava il tizio: “Prima di parlare, devi sapere chi sono le persone … hai capito? – racconta Giambalvo ad un suo cugino – perché se tu mi dicevi che era Lillo La Cascia, io ti dicevo… pigliaci le bibite, non avevo bisogno si scendere a Castelvetrano”.

Lillo La Cascia.

Anche questo però è un racconto che Giambalvo fa al cugino. Quindi, gli sarà bastato affermare che anche quelle cose le avrà dette per darsi un tono col cugino.

Ma, anche se così fosse, davvero nessuno ne aveva mai sondato lo “spessore”?

Insomma, volendo non sarebbe stato poi così difficile sapere chi era Giambalvo.

Ecco perché nella relazione della prefettura di Trapani contenente le motivazioni dello scioglimento del Comune, leggiamo:

La presenza nelle liste di maggioranza di un soggetto così vicino ad ambienti controindicati è risultata evidentemente mal conciliabile con il dichiarato manifesto politico elettorale del sindaco di Castelvetrano, asseritamente e platealmente improntato alla legalità e trasparenza – si legge nella relazione - tanto da far considerare al Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia a conclusione delle audizioni tenutesi in prefettura il 20 luglio 2016 in seguito ai fatti occorsi nel comune di Castelvetrano ‘…ci si sarebbe potuto aspettare una presa di distanza più tempestiva e immediata da parte del Sindaco nei confronti del consigliere … OMISSIS… (Giambalvo, ndr)’”.


La reazione del sindaco Errante era stata questa: “Sono Basito e auspico che possa essere fatta chiarezza sulla sua posizione”.

E quando la sua posizione fu chiarita con l’assoluzione dal punto di vista penale, anche le pesanti intercettazioni sull’ammirazione incondizionata ai Messina Denaro e sull’ipotesi dell’uccisione del figlio del collaboratore Cimarosa per evitare che continuasse a parlare, finirono sotto la sabbia. Anzi, quando si seppe dell’assoluzione, intervenne il vicesindaco Rizzo:

Nell’apprendere certe notizie, rimango basito” aveva commentato a caldo. Non perché si fosse aspettato una condanna, ma perché secondo lui, Giambalvo e Giuseppe Fontana (quest’ultimo arrestato nella stessa operazione ed anche lui assolto) non sarebbero dovuti finire nemmeno in carcere, immedesimandosi “nel dramma che hanno dovuto subire gli imputati ed i loro parenti”. Il vicesindaco aveva considerato “aberrante anche il fatto che i pm avessero chiesto 5 anni e 4 mesi per Fontana e 7 anni per Giambalvo”.

 

 

 

Egidio Morici