Quantcast
×
 
 
05/02/2013 05:52:34

Villa Royal, fratelli Laudicina: "Lavoravamo in nero, ma gli ospiti erano curati". Omicidio Azzaro: oggi la sentenza di appello

 Prima Leonardo e dopo il fratello hanno raccontato di aver lavorato a Villa Royal. Leonardo ha detto di essere stato contattato dalla Sig.ra Rallo e di essere andato tre o quattro volte a fare la barba agli ospiti della struttura. Dopo ha continuato il lavoro soltanto il fratello Filippo, che ha detto di aver smesso di andare in quella casa di riposo, solo pochi mesi prima della chiusura. Entrambi i testi hanno detto che i locali delle struttura erano puliti e ordinati e che gli stessi ospiti a cui loro facevano la barba e i capelli erano altrettanto curati. Filippo ha aggiunto di non aver mai rilasciato ricevuta di pagamento e che il tutto avveniva in "nero". La prossima udienza è stata fissata il 2 aprile 2013 alle ore 11.00.

Nuova  sfilata di testi d'accusa (ben cinque) prevista oggi nella nuova udienza del processo ai gestori di «Villa Royal», la struttura che (prima in contrada Dammusello e poi a Cardilla) avrebbe operato «abusivamente» a Marsala anche come casa di cura.  Accusati di sequestro di persona, abbandono di incapaci, maltrattamenti, somministrazione di farmaci guasti o non adeguati alle patologie, esercizio abusivo della professione sanitaria, l’11 ottobre 2010 erano stati posti agli arresti domiciliari Baldassare «Enzo» Genna, assistente capo di polizia poi sospeso dal servizio, la moglie Vita Maria Rallo e il fratello Giuseppe Genna. Denunciati Christian e Danilo Genna, figli della coppia Genna-Rallo. Nell'ultima udienza hanno parlato undici dipendenti della casa di riposo, principalmente pulizieri ed inservienti. Hanno raccontato che "a gestire la struttura era principalmente la signora Vita Maria Rallo". "Il marito - secondo le testimonianze - frequentava la struttura, ed ogni tanto faceva la spesa, ma tutte le responsabilità erano sulle spalle della signora".  Soddisfatto il legale di Giuseppe Genna, l'avvocato Luigi Pipitone: "Il mio assistito, come emerge dalle testimonianze, era un semplice dipendente, non aveva alcun ruolo decisionale". A difendere invece gli altri imputati (ovvero la famiglia Genna - Rallo) è l'avvocato Edoardo Alagna: "Le testimonianze - dice - confermano che fino al 2007 la struttura era frequentata da medici e infermieri ed offriva dei servizi all'altezza". Alagna inoltre fa presente che alcuni dei testi hanno intrapreso delle vertenze lavorative nei confronti dei titolari di Villa Royal, e quindi possono considerarsi dei "testimoni interessati". Quattro le parti offese costituite in giudizio (ai tempi furono trovati, in condizioni pietose, circa venti anziani), rappresentante dall'avvocato Gaudino, che ricorda: «Dal dibattimento sta emergendo che i vecchietti venivano maltrattati e che è accaduto che un inserviente, per calmarli, arrivava a malmenarli. È stato anche confermato che di notte le stanze venivano chiuse a chiave». 

AZZARO. Anche in Appello è stata chiesta la condanna per l'imputato Giuseppe La Grutta, accusato dell'omicidio, avvenuto a Marzo del 2011, di Aldo Azzaro. In primo grado il Gup aveva condannato La Grutta a 15 anni di reclusione. L'imputato è difeso dagli avvocati Tranchida e Paladino. A 32 anni, Azzaro è stato freddato da un colpo di arma da fuoco che lo ha raggiunto all'addome, in Contrada Cozzaro, a Marsala, a pochi passi dall'abitazione della sua compagna. L'imputato non solo è reo confeso, ma all'epoca dei fatti aiutò anche gli inquirenti a ritrovare l'arma da fuoco. Attualmente La Grutta è ristretto presso il carcere Pagliarelli di Palermo. All'udienza ha partecipato anche Beatrice Giacalone, vedova di Azzaro, assistita dall'avvocato Vito Cimiotta, e anche i genitori e la sorella della vittima, tutti costituiti parti civili. I legali di La Grutta contano su una riduzione della pena perchè sostengoo che al loro assistito vada riconosciuta l'attenuante della provocazione. La sentenza è attesa per oggi.

"CONFESSA IL FALSO". Ha confessato e rivelato il nome del suo complice ma secondo gli inquirenti sta dicendo il falso. Pietro Genovese, il giovane di 24 anni arrestato nei giorni scorsi dalla polizia nell'ambito delle indagini su una serie di rapine, ha ammesso le sue responsabilità.
È accusato di avere assaltato, lo scorso 7 gennaio, insieme con un complice, due rivendite di tabacchi a Trapani. Il giovane, assistito dall'avvocato Agatino Scaringi, ha ammesso di avere preso parte alle rapine. Un'ammissione di colpa scontata. 
Durante le concitate fasi della seconda rapina, Pietro Genovese aveva sollevato per qualche istante il passamontagna che gli copriva il viso. Il giovane ha anche rivelato l'identità del suo complice, indicando il nome di un tunisino. 
Secondo gli inquirenti però mente. L'extracomunitario ha infatti una corporatura diversa dal soggetto ripreso dalle telecamere del sistema di videosorveglianza. Genovese ha inoltre riferito che il bottino della seconda rapina ammonta ad oltre duemila euro mentre il titolare della rivendita ha denunciato di avere subito il furto di novemila euro. Il giovane sostiene di avere speso i soldi per l'acquisto di droga. È infatti da tempo tossicodipendente. Il suo difensore ha chiesto il ricovero in una comunità.