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06/03/2013 05:05:17

L'omicidio di Don Michele/2. Quel prete troppo generoso e la furia assassina contro di lui

La chiesa era un rifugio. Stava quasi sempre in macchina, Don Michele. E gli piaceva pure correre. Oddio, per quanto possa correre un prete. Però, si, gli altri sacerdoti lo ricordano: alla guida era un po' spericolato. Da Calatafimi a Trapani, e da Trapani in chiesa, e dalla canonica alle tante famiglie, per una benedizione, un consiglio, dei lavori da fare. Così passava le sue giornate.

Nessuna chiacchiera su Don Michele, nessuna maldicenza. Il ricordo che ne hanno gli abitanti di Ummari e di Fulgatore è quello di uno di loro, una persona serena, buona con tutti. Anche troppo. Aiutava tutti, Don Michele, soprattutto le famiglie degli immigrati, i rumeni che da queste parti vivono nei campi in condizioni al limite dell'umano. "Chi aveva bisogno andava da lui - raccontano gli abitanti - e gli dava cinque, dieci euro". Non li prestava, i soldi. Li dava e basta. E girava sempre senza portafogli. "Se qualche famiglia aveva bisogno di fare la spesa, lui diceva a quello del minimarket che ci avrebbe pensato lui, a pagare il conto". Solo che ogni tanto qualcuno esagerava, e magari faceva un po' troppa spesa o andava da quello del minimarket dicendo "Mi manda Don Michele", solo che non era vero. Ma tutto veniva ricomposto, con grande fatica, giorno dopo giorno.

Era senza una lira, Don Michele. Forse questa potrebbe essere una traccia.  

"Si era ridotto davvero male - dicono i suoi parrocchiani - a forza di aiutare le persone si trascurava". 

Lo dice pure il "cinese" di Fulgatore (e già, perché manca tutto, ma un negozio di abbigliamento cinese c'è pure qui....), pure lui lo conosceva, e qualche giorno fa lo ha visto arrivare in negozio e comprare un paio di scarpe da 15 euro: "Come ti sei ridotto, Don Michele...." gli ha detto il cinese. Un altro parrocchiano racconta, a mezza bocca, che Don Michele si era lamentato perché lo avevano cercato anche di notte, per chiedergli aiuto, di recente: “Non si può più dormire tranquilli” gli aveva detto.

Chi ha ucciso Don Michele? Qualcuno a cui doveva dei soldi? Ma chi presterebbe mai dei soldi ad un prete così, sperando di riaverli indietro…. Qualcuno a cui ha detto di no, allora, che non poteva aiutarlo? Un no pagato con la vita. Ma allora perché massacrarlo in quel modo. Tutto, dalla dinamica alla ferocia del gesto lascia pensare ad una vendetta, ad un rancore covato troppo a lungo e poi esploso con una furia animalesca.
Fare spaventare un prete, poi, è facile. Non c’è bisogno di arrivare a tanto. Prendete Don Abbondio. Oppure Papa Celestino V, quello del “gran rifiuto”. Narra la leggenda, infatti, che il cardinale Benedetto Caetani per fare dimettere il Papa e prendere il suo posto (diventerà Papa Bonifacio VIII) utilizzò uno stratagemma: gli fece suonare una tromba nel cuore della notte, come se fossero le trombe del giudizio, per intimarlo a lasciare il pontificato. “Celestinooo! Celestinooo!”. Quello, Celestino, aveva 85 anni, “impaurito da morire” si dimise dopo qualche giorno.

Qualcuno poteva fare come Bonifacio, spaventare a morte padre Michele. Ha preferito passare subito alla vie di fatto. Perché?
Gli investigatori hanno interrogato i familiari, stanno spulciando le carte del prete, il suo conto in banca, le chiamate fatte e ricevute con il cellulare.

Chi ha ucciso Don Michele? E' la domanda che in pochi si fanno a Fulgatore, dove le parole di affetto per il prete sono tante, sono sincere, ma c'è qualcosa che gira, il fantasma di qualcosa che non si può dire, tra gli abitanti della contrada. Che piangono il loro prete, si, ma quanto è accaduto gli fa non troppa impressione. Forse ne avranno viste davvero tante da queste parti, chissà. Nessuno pensa alla rapina, come movente dell'omicidio di Don Michele. Nessuno è rientrato prima la sera dopo il delitto, ha chiuso meglio le imposte, ha fatto un giro di casa per un controllo più accurato. Nessuno mostra ansia, perdita di sicurezza. La vita è ripresa regolare, lenta ma regolare. "Poveretto, non meritava sta fine" ripetono tutti. E si fermano lì. Avete paura? No. Perché? Nessuna risposta.

Le indagini continuano, intanto, senza sosta, in ogni direzione, dicono gli investigatori. I Ris di Messina sono venuti, hanno fatto le loro analisi, torneranno tra qualche giorno.

Gli elicotteri girano tra le campagne, nei casolari abbandonati, i carabinieri fanno la guardia sotto la pioggia alla chiesa chiusa, la luce della canonica rimasta accesa dalla notte di lunedì, quando l'Italia immaginava di poter avere un governo, la Chiesa aveva ancora un Papa, don Michele era ancora vivo.
Eppure sembra quasi che più che nell'analisi del corpo straziato del prete, delle lenzuola bevute di sangue, di fantomatiche videocamere poste nella statale, la verità vada cercata per le strade di Ummari, o a Fulgatore. “Taci: i muri hanno orecchie” , era lo slogan in tempo di guerra. “Ascolta: i muri parlano”, è invece l'indizio che rimane dopo tanto girare. C’è qualche miseria inenarrabile tra queste strade immerse nell’umidità della campagna trapanese, qualche punto di non ritorno che è stato il buco nero che ha inghiottito Don Michele. Qualcosa che ha visto e che non doveva vedere, magari. Parlano i muri delle casette di Ummari, la topografia periferica e sgraziata di Fulgatore, parlano i sette corpi di fabbrica devastati di Borgo Livio Bassi, l'arco, il viale, la piazzetta. Chissà che non si metta anche a parlare, in cerca di pace, il fantasma di Don Michele.

(per leggere la prima parte del reportage clicca qui)