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20/03/2013 05:35:15

Processo Rostagno. Dubbi sui reperti mandati al macero

Nell’aula Giovanni Falcone continuerà l’esame del teste Sergio Di Cori e dei tre carabineri: Dall'Anna, Cillaroto e Muso. Mercoledì scorso nel corso del dibattimento sono emersi nuovi dubbi e nuove “stranezze” che non hanno per nulla convinto la Corte nè tanto meno i due Pm Francesco Del Bene e Gaetano Paci. Sono stati ascoltati, infatti, i tre testimoni Liborio Fiorino, Rocco Polisano e Salvatore Martines, piastrellisti di Valderice che dopo un mese e mezzo dal delitto di Mauro Rostagno andarono a denunciare ai Carabinieri di Napola, il fatto che erano stati loro a lasciare bicchieri, bottiglie e vettovaglie nel luogo dove venne ritrovata l’auto bruciata che si pensa sia stata usata dai killer del giornalista.

Hanno raccontato di essere stati in quel luogo, dove hanno arrostito della salsiccia acquistata lungo il tragitto tra Marausa - dove avrebbero dovuto fare dei lavori poi non eseguiti - e la cava di Valderice. Ma troppi particolari non sono chiari. C'è un buco temporale di oltre due ore che non si spiega. I testi non hanno saputo spiegare cosa abbiano fatto nelle due ore precedenti quel pranzo improvvisato. E ancora, la Corte non capisce come mai si sono recati presso la macelleria di Francesco Virga visto che non si trova sulla strada da loro indicata.
La scelta del macellaio fa sorgere qualche altro dubbio. Francesco Virga è infatti nipote di Vincenzo Virga, ritenuto il mandante dell’omicidio Rostagno. Con il racconto dei tre piastrellisti è venuto fuori che sono scomparsi i reperti ritrovati dentro la cava.

Quattro vassoi argentati, cinque bicchieri in plastica, due bottigliette e lo scontrino della macelleria, sono andati distrutti perchè l'autorità giudiziaria ne ha disposto alcuni anni fa la distruzione. Sempre nel corso dell'ultima udienza c’è stato un “fuorionda” dell’avvocato Vito Galuffo, difensore di Vito Mazzara (accusato di essere il killer di Rostagno) che si è lamentato pubblicamente per un articolo del giornalista Rino Giacalone, “colpelvole” di avere scritto che i difensori «piuttosto che difendere i loro assistiti difendono la mafia».