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17/10/2013 16:46:00

Memoria e (è) futuro

Tzakar, letteralmente «fare memoria», è verbo-chiave della tradizione ebraica, poiché è azione concreta e diuturna che, sola, garantisce di poter guardare al futuro con fiducia e speranza. La lingua ebraica, difatti, possiede un aspetto unico: attraverso l’aggiunta di una consonante all’inizio della voce verbale, quest’ultima può essere trasformata da futuro in passato e viceversa.

La grammatica ebraica chiama questo vero e proprio strumento del ribaltamento «waw inversivo»: con l’impercettibile inserimento di questo segno grafico dalla forma allungata, si assiste rapiti alla metamorfosi di un futuro che, consapevole del suo gesto, protende le proprie radici verso quel passato che lo ha generato e del quale il presente, tempo verbale sconosciuto alla lingua ebraica sospesa tra memoria e posterità, si nutre incessantemente.

Oppure, si guarda meravigliati ad un passato che, lungi dal ripiegarsi su di sé nella sterilità dell’auto-mistificazione, custodisce ed intesse nel segreto del proprio grembo una promessa gravida di futuro.

Settant’anni fa, un giorno come questo, alle cinque e un quarto di un mattino dal cielo plumbeo che non conobbe mai la luce, le SS, al comando del tenente colonnello Herbert Kappler, irrompono nel quartiere ebraico di Roma e rastrellano oltre 1200 tra donne, uomini e bambini: 1024 di loro saranno deportati presso il campo di sterminio di Auschwitz/Birkenau, nella Polonia occupata dal Terzo Reich; in 17 soltanto faranno ritorno.

Ieri, alla vigilia di questo ricordo che l’ebraismo ci invita a mantenere vivo nelle menti e nei cuori (in quest’ordine, senza sentimentalismi di sorta), la prefettura di Roma, su indicazione del prefetto Giuseppe Pecoraro – che ha contraddetto il parere negativo espresso nel merito dal primo cittadino romano Ignazio Marino – ha autorizzato in maniera irrispettosa ed irresponsabile la celebrazione delle esequie pubbliche di un ufficiale delle SS, il capitano Erich Priebke, comandante del plotone che eseguì il massacro delle fosse ardeatine. Luogo indicato per il funerale una cittadina, Albano Laziale, già medaglia d’argento al valore per la resistenza al nazifascismo: un vero e proprio affronto alla memoria e alla dignità di chi la difende con convinzione e cultura. Il cocktail si preannunciava esplosivo e, naturalmente, non ha tradito le (funeste) aspettative.

La generosa disponibilità ad ospitare l’increscioso evento che – facile ma inascoltata profezia – con ogni probabilità avrebbe scatenato contestazioni ed incidenti è stata offerta, manco a dirlo, dalla solerte congregazione lefebvriana, ignominioso rudere ultra-reazionario riabilitato dal non compianto pontefice dimissionario. Questa comunità antidiluviana, che vive arroccata in un cattolicesimo intollerante e triviale, persiste nel suo tentativo di riesumare un passato che non passa e che viene indicato come l’unico (cupo) possibile futuro. Quell’inversione dei tempi verbali suggestivamente evocata dalla sintassi ebraica, quel mutuo sconfinare di memoria e destino, è quanto questi gendarmi della fede, negazionisti e anti-moderni, ignorano ed ignoreranno sempre. Per costoro il tempo è rigorosamente unidirezionale. È sempre stata questa accezione anchilosata di un futuro inchiodato ad un passato senza memoria a spingere la storia umana verso abissi e baratri.

L’ebraismo intreccia indissolubilmente memoria e futuro, fa in modo che nell’uno sia contenuto, invisibile ma inestricabile, l’indistinto presagio dell’altra. A suggerirlo la presenza quasi impercettibile di un segno grafico sottile, la lettera waw: grimaldello che forza i sigilli posti a guardia di un passato ripiegato su di sé, insufflandovi quella memoria che lo ingravida di promessa.

Alessandro Esposito – pastore valdese - da 'Micromega on-line' del 16 ottobre 2013