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19/11/2013 07:00:00

Inside Golem II. Così Matteo Messina Denaro comandava anche a Palermo

E’ sempre nascosto Matteo Messina Denaro. Sempre latitante, mentre viene condannato dal tribunale di Marsala nel processo Golem II nato dall’operazione che scoperchiò il giro di affari e favoreggiatori del boss di Castelvetrano. Sette le condanne. E per lui si aggiorna il casellario giudiziale. Dieci anni per la continuazione del reato di associazione mafiosa. Perché rimane il leader dell’organizzazione in provincia di Trapani. Ma non solo. Il super latitante, come si legge nella memoria da ottocento pagine presentata dai Pm Paolo Guido e Marzia Sabella condizionava anche la vita dell’organizzazione a Palermo. Aveva una certa influenza. Non comandava apertamente, ma là, nel capoluogo siciliano, gli affiliati tenevano in considerazione i suoi consigli. Consigli che arrivavano puntualmente con i pizzini. Nell’inchiesta della Dda di Palermo emerge la costante presenza di Matteo Messina Denaro nei fatti che riguardavano Palermo, e questo dopo gli arresti di Provenzano e Lo Piccolo.

“Il potere e l’influenza di Matteo Messina Denaro – scrivono i Pm - se, da un lato, si erano ulteriormente rinsaldati nel contesto mafioso trapanese, dall’altro lato avevano finito per estendendersi nell’estranea area palermitana; e ciò per certi versi in deroga al vigente e categorico precetto mafioso della rigida suddivisione delle competenze territoriali”. Questa influenza emerge in due circostanze ben precise. Quando a Palermo tentano di ridar vita alla commissione provinciale di Cosa nostra e quando c’è da stabilire chi comanda a San Lorenzo. I fatti risalgono agli anni 2008, 2009.

MESSINA DENARO, LA COMMISSIONE PROVINCIALE, E LA FEDELTA' A RIINA

Riina è il capo e non si discute. Lo dice a chiare lettere il boss di Castelvetrano quando c’è da decidere come riorganizzare la commissione provinciale a Palermo. Lo cercano, lo interpellano. Lui risponde. E quando c’è da riconoscere il nuovo capo della commissione, non ci sta. Non è il caso. E’ sempre stato visto come un innovatore, il boss di Castelvetrano. Quello che ha capito il business della grande distribuzione, quello che ha colto che con l’eolico si potevano fare tanti soldi. Quello che ha fatto della mafia una spa a tutti gli effetti. Ma sull’organigramma in Cosa nostra va molto cauto. Evitiamo gli assalti alla diligenza. “Lasciamo tutto com’è”, dice.

I fatti emergono dagli atti dell’operazione Perseo sulla mafia palermitana nel 2008, dalla deposizione del comandante Mannucci Benincasa. “Il promotore di tale ambizioso progetto – si legge nella memoria - era Benedetto Capizzi, esponente del mandamento di Villagrazia-Santa Maria del Gesù, fervido sostenitore della possibilità di creare ex novo la commissione provinciale che, anzi, egli stesso aspirava a capeggiare”. Si mettevano così in moto tutte le consultazioni. Capizzi per raggiungere il suo obbiettivo aveva chiesto aiuto ai boss Giuseppe Scaduto e Benedetto Spera, rispettivamente capo mandamento di Bagheria e Belmonte Mezzagno. Il loro compito era quello di convincere i “dissidenti” del mandamento di Porta Nuova capeggiati da Gaetano Lo Presti. Ma mentre in un primo momento sembrava che Matteo Messina Denaro fosse d’accordo con la ricostruzione della commissione provinciale, poi le cose non andarono così. All’inizio infatti il boss bagherese Scaduto faceva capire che di una vicenda così importante doveva essere informato Messina Denaro con il quale egli era già in contatto: “…dunque per il fatto di MATTEO DENARO… io sono in contatto con lui e cose… se avete di bisogno un contatto… un contatto con MATTEO”, si legge nelle intercettazioni. Salvatore e Giovanni Adelfio, ritenuti vicini a Capizzo, avevano fatto intendere anche che la volontà di riformare la commissione provinciale partiva proprio da là, dal super latitante. Il tramite del boss di Castelvetrano con le cose di Palermo – emerge dall’inchiesta – era uno della sua zona. Uno di una certa esperienza: Franco Luppino, che veniva costantemente aggiornato sull’evolversi della vicenda palermitana e che garantiva il massimo appoggio per la riuscita della cosa. Poi interviene direttamente lui, Matteo Messina Denaro. E lo fa con i soliti pizzini. E qui si comprende che il boss di Castelvetrano era tutt’altro che d’accordo con la rifondazione della commissione provinciale “in quanto, coerentemente con i suoi storici e consolidati legami con l’area corleonese, era ben lungi dall’avallare lo spodestamento del Riina in favore di Capizzi Benedetto”. Insomma, il capo è ancora Totò, anche dal carcere duro. Questo emerge una intercettazione ambientale. Il protagonista è il boss Scaduto che informa i suoi interlocutori su un incontro avvenuto il giorno prima con il gruppo dei dissidenti (a cui pure aveva partecipato l’allora latitante Giovanni Nicchi). Scaduto “riferiva che la fazione legata a Lo Presti Gaetano aveva tirato fuori un pizzino di Matteo Messina Denaro e lo aveva fatto leggere al bagherese.
Quest’ultimo, riconoscendo la grafia del latitante in quanto corrispondente ai 'pizzini' che lui stesso riceveva, aveva quindi letto che il castelvetranese, pur dichiarandosi a disposizione di tutti, non era intenzionato a ‘riconoscere’ nessuno come nuovo capo della commissione provinciale”.
Ecco cosa dice Scaduto intercettato: “mentre ero là (…) mi escono pizzini pure, incontri che hanno fatto con Trapani (… )biglietti che ci sono arrivati da Trapani .. i pizzini li ho visti pure io… li ho letti io … ho riconosciuto la calligrafia dei pizzini che arrivano a me … la stessa calligrafia… che ci dice: “noi non conosciamo a nessuno., noi siamo fermi per come siamo stati .”. dice “siamo in rapporti con tutti ,… chi ha bisogno siamo a disposizione … per altre cose non riconosciamo a nessuno”…”.

“IO CI TENGO”


Ci sono due cugini, che hanno lo stesso nome. I cuigini Giuseppe Biondino, del mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo. Pare stiano creando un po’ di scompiglio da quelle parti, vogliono comandare loro. Nino Spera, Sandro Capizzi, e Giovanni Adelfio avevano incontrato il tramite del boss di Castelvetrano, Franco Luppino, e gli avevano raccontato la vicenda. Dell’incontro ne hanno parlato anche al boss Scaduto. Capizzi aveva anche incaricato tale Mario Troia di dar loro una lezione. I Biondino però rispondono che sono stati raccomandati direttamente da Matteo Messina Denaro per la guida del mandamento. A Palermo non ci credono. E Luppino dice di non muoversi, di non fare casini, evitare rappresaglie o guerre inutili. Poi arriva il pizzino. Matteo Messina Denaro decide per tutti. Arriva la sponsorizzazione ufficiale per uno dei due Biondino, il figlio di Girolamo, l’altro nel frattempo è stato arrestato. I fatti li racconta ai magistrati Manuel Pasta, arrestato nel 2009 e poi diventato collaboratore di giustizia.

Dopo l’operazione Gotha che porta in carcere i Lo Piccolo – racconta Pasta -“Giuseppe Biondino figlio di Girolamo, riesce a essere... a riprendersi in mano San Lorenzo. Inizialmente trova un antagonista nell’architetto Giuseppe Liga, che era il nostro capo mandamento, ma, essendo che il Biondino Giuseppe, figlio di Girolamo, era sponsorizzato dal Messina Denaro e da Gianni Nicchi, riesce a vincere diciamo, tra virgolette, la guerra di successione con Troìa Mario e quindi gli viene consentito di prendersi in mano San Lorenzo. Quindi dal gennaio 2008 i Biondino si riappropriano di San Lorenzo”.
I rapporti tra i Biondino e i Messina Denaro sono antichi. “Mi riferiva il Giuseppe Biondino, figlio di Salvatore, che addirittura passavano, quando suo padre era fuori, quindi fine anni ‘80, i primi ‘90, le vacanze a Triscina con lo stesso Messina Denaro.
Erano arrivati in quel periodo, quindi nel 2008, dei bigliettini del Messina Denaro a Giuseppe Biondino, figlio di Salvatore. E addirittura il Biondino Giuseppe, figlio di Salvatore, si allontanò per tre giorni da Palermo e mi disse - quando tornò chiaramente me lo disse, non prima - che si era proprio visto con Messina Denaro… mi diceva che loro erano nel cuore di Messina Denaro, tant’è vero che in una riunione con altri esponenti di “Cosa Nostra”, il Biondino fece vedere materialmente questi bigliettini…è chiaro che Messina Denaro non può decidere sul Palermo, perché il paese è del paesano, ma è chiaro che è un’influenza, quindi è un... quando esprime un giudizio o una volontà chiaramente influenza l’iter delle cose. Non può decidere, ma quando dice: “I cugini Biondino sono nel mio cuore e ci tengo”, quindi questa frase viene fatta conoscere a tutti a Palermo e uno ne tiene conto. Perché fu detto questo e fu fatto sapere? Perché questi contrasti tra il Troìa Mario e i cugini Biondino, potevano portare anche a fatti di sangue, quindi quando il Messina Denaro dice: “Io ci tengo”, fare un’azione sui Biondino sarebbe stato fare comunque uno sgarbo al Messina Denaro. (..)”.
Sui fatti di San Lorenzo parla agli inquirenti anche Giovanna Micol Richichi, moglie di Giuseppe Biondino, figlio di Girolamo. Richichi parla ai pm e racconta di aver visto, letto e poi bruciato con le sue mani i pizzini che arrivavano direttamente da Matteo Messina Denaro. “Perché io so bene, li ho visti, li ho letti, li ho toccati dei bigliettini che arrivavano da Trapani. Io personalmente li ho bruciati… c'era scritto che lui appoggiava mio marito nel ruolo che stava e voleva intraprendere". (Cioè) "Essere lui il capo della famiglia di San Lorenzo". …. "Appoggiava mio marito, lo rincuorava nel senso che comunicava a mio marito, in questo bigliettino, che lui avrebbe dato il suo appoggio sia per lui, cioè per mio marito, sia per il cugino Giuseppe Biondino del '77, in quanto figli di due suoi cari amici, cioè mio suocero Girolamo Biondino e il fratello Salvatore Biondino"..".
Messina Denaro tiene in pugno tutti in sostanza. Non decide, non comanda. Ma di fatto si fa come dice lui, anche a Palermo.