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24/11/2013 06:40:00

Inside Golem II. Pizzini, convocazioni, prestanome. Così Arimondi faceva il vice

Sesta e ultima puntata di Inside Golem, il viaggio dentro la mafia in provincia di Trapani e il gruppo di fiancheggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro. Qui tutte le puntate precedenti: 1 - 2 - 3 - 4 -

Quando Salvatore Messina Denaro arriva a comandare il mandamento di Castelvetrano, lui gli fa quasi da vice. E’ Maurizio Arimondi, uomo d’onore della famiglia di Castelvetrano condannato a 12 anni e mezzo di carcere nel processo di primo grado sull’inchiesta Golem II che nel 2010 ha fatto terra bruciata attorno al superlatitante Matteo Messina Denaro.


Salvatore Messina Denaro, fratello di Matteo diventa il nuovo capo mandamento di Castelvetrano nell’estate 2006, è una staffetta con Filippo Guttadauro, cognato di Matteo. Guttadauro Viene arrestato, dopo un mese Messina Denaro viene scarcerato. Maurizio Arimondi sarà uno degli uomini più vicini a Salvatore Messina Denaro, che rimane sotto osservazione, è sorvegliato speciale dalle forze dell’ordine. Non può fare passi falsi, quindi per gli affari più delicati ci pensa Arimondi. E’ l’alter ego del capo, e a lui si rivolgeva l’intera consorteria mafiosa per dialogare col capo mandamento. Raccoglie gli stati d’animo dei vari associati. Anche in momenti particolari della famiglia. Come quando viene fuori che Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, era in combutta con i servizi segreti del Sisde per stanare Matteo Messina Denaro e aveva cominciato un dialogo attraverso i pizzini col boss. Questo era saltato fuori, e Arimondi era stato già all’epoca uno dei postini nel circolo dei pizzini tra Vaccarino e il super latitante.
 

I picciotti si sfogano con lui. Come Andrea Caprarotta, detto Giovanni, già condannato con rito abbreviato. Sentono il fiato sul collo, capiscono che non c’è da stare tranquilli. Le forze dell’ordine, insomma, sono sulle loro tracce. Sono all’ascolto. Ma loro non si perdono d’animo. Anzi ribadiscono fedeltà all’associazione.
 

GIOVANNI –“Turi non sa una cosa, io… io… lo dico a te perché oh… ci dici a Salvatore…io non ho paura di niente, io … con tutte queste cose, filmano, fanno, io sono a posto, io non ho paura di niente, io sono a disposizione…”
MAURIZIO – “e siamo”
GIOVANNI – “… della famiglia”
MAURIZIO – “e siamo…”
GIOVANNI – “che minchia mi interessa a mia?”
MAURIZIO – “infatti lui gliel’ha detto …”
GIOVANNI – “io non ho paura di nessuno”
MAURIZIO – “infatti lui gliel’ha detto a queste merde di persone…”
GIOVANNI – “non ho paura”
MAURIZIO – “ah … lui ha detto al maresciallo, lei ogni volta che mi vede mi deve fermare, cosi gli disse”
GIOVANNI – “eh, eh…”
MAURIZIO – “con Turiddu, fattelo raccontare, andiamo al cimitero ed erano nascosti in mezzo ai cespugli ed io me ne sono accorto, gli dissi Turi, guarda che dolce, avevano il giubbotto … guarda che belli… “


Raccoglieva le confidenze degli altri affiliati, Arimondi. Come quella di Risalvato, quando gli dice che sarebbe disposto ad andare a vivere col boss, con Matteo Messina Denaro. Arimondi accompagnava Salvatore Messina Denaro in tutte le riunioni di mafia, era il suo factotum e fidato braccio destro. Convocava tutti per i summit. Era il suo portavoce, il suo addetto alle relazioni col pubblico.
Poi c’è un’altra questione da risolvere. Quella dell’incendio all’auto di tale Carlo Piazza, ritenuto vicino agli ambienti mafiosi e gestore di un supermercato Despar. Il sospetto è che sia stato Lorenzo Catalanotto ad appiccare l’incendio, per questioni di donne pare, all’auto di Piazza. Catalanotto viene portato al cospetto del boss Salvatore Messina Denaro. Pensa a tutto Arimondi. Catalanotto poi si presenta con il padre, Fortunato, che affronta un gran dialogo di come va il mondo, di questi giovani che fanno fesserie, di loro “vecchi” che hanno ricevuto una certa educazione. Queste cose qua. Messina Denaro decide che la questione è risolta, e incarica proprio Arimondi ad andare a parlare con Piazza. Non è stato Catalanotto, la questione finisce qui.
Maurizio Arimondi faceva anche da prestanome a Salvatore Messina Denaro, che da sorvegliato speciale non poteva gestire attività imprenditoriali. La Arigroup srl di Castelvetrano, società operante nella distribuzione del caffè, era formalmente di proprietà di Maurizio e del fratello Raffaele Arimondi (giudicato e condannato in primo e secondo grado). Ma di fatto la società era riconducibile al capo mandamento di Castelvetrano Salvatore Messina Denaro. I due Arimondi erano in sostanza dei rappresentanti. Le decisioni commerciali e la gestione dell’azienda erano, occultamente, in mano a Salvatore Messina Denaro, che con il suo fidato collaboratore, Maurizio, aveva anche espresso perplessità sul modo di fare del fratello Raffaele. In pratica aveva poca dimestichezza con i rapporti con il cliente. Si presentava in maniera sgarbata, e parecchi affari saltavano. Allora Messina Denaro dice a Maurizio Arimondi di non mandare più il fratello in certi posti, ad avere a che fare con i clienti più importanti. Questo emerge dai documenti prodotti dai Pm Marzia Sabella e Paolo Guido al processo che si è chiuso al tribunale di Marsala in cui Arimondi è stato condannato a 12 anni e mezzo per associazione mafiosa.