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09/07/2016 06:25:00

Attenti ai rostri di Favignana!

I  rostri di bronzo sono lì che pare ti guardino. Ti puoi avvicinare e li puoi persino toccare. Puoi leggere l’incisione col nome del questore che fece fondere l’uno o l’altro, e finanche carezzare la vittoria alata che decora alcuni, o l’elmo che decora altri. Questa vicinanza con ciò che fino a ieri era in fondo al mare, concessa a chiunque visiti le nuove sale dedicate alla battaglia delle Egadi all’ex Stabilimento Florio di Favignana, è emozionante e conturbante. Si tocca con mano una grandiosa arma di offesa: i rostri si applicavano alla prua delle navi per speronare e sventrare le navi nemiche. I rostri hanno sancito la vittoria romana nella famosa battaglia delle Egadi del 10 marzo del 241 a.C. È data che ha cambiato la storia: quella battaglia non decretò solo la fine della prima guerra tra romani e cartaginesi, ma l’inizio del declino cartaginese e dell’ascesa romana. Ci vorranno ancora cent’anni e altre due guerra per distruggere definitivamente Cartagine, ma da quel dì Roma, che fino ad allora aveva sottomesso solo popoli a lei vicini, cominciò la conquista del Mediterraneo.  Come “bottino” di guerra ebbe la Sicilia, e dopo poco fece sue anche Sardegna e Corsica. Dopo la battaglia delle Egadi, il Mediterraneo non è stato più lo stesso.

Trovare il luogo esatto dove avvenne una battaglia così importante è forse il sogno di ogni archeologo subacqueo. È stato per molti anni il sogno di Sebastiano Tusa, ora Soprintendente del mare della Regione siciliana, ma ancora giovane ricercatore quando nel 1984 sentì Cecè Paladino, subacqueo di Favignana, raccontare di un «mare di ancore», circa 150 ceppi d’ancora per la precisione, da lui trovati nel mare a est di Capo Grosso, la punta più settentrionale dell’isola di Levanzo. Forse dunque, pensò Tusa, non è vero che la battaglia avvenne nella Cala rossa di Favignana - rossa del sangue dei cartaginesi - come si è sempre detto con troppa facilità. Solo vent’anni dopo, però, poté avviare le indagini: solo nel 2005 cominciò a indagare i fondali attorno a Levanzo, profondi un centinaio di metri, con l’aiuto delle attrezzature da alta profondità della RPM Nautical Foundation diretta dall’archeologo Jeffrey Royal. Ma prima di ciò i due archeologi avevano letto con attenzione tutti i testi storici sulla battaglia, immaginato le scelte dei due comandanti - il cartaginese Annone e il romano Lutazio Catulo - e studiato persino i venti di quel giorno, che furono determinanti per l’esito. Avevano insomma ricostruito la vicenda con una precisione sorprendente, e la scoperta di 11 rostri, di otto elmi, delle anfore e di tutti gli altri oggetti sul luogo della battaglia, è stata solo la conferma di un’idea già ben chiara. Oggi le due storie - quella della battaglia e quella della scoperta - sono narrate sin nei particolari allo Stabilimento Florio con postazioni multimediali affiancate agli oggetti. E con una proiezione immersiva in 3D che lascia senza fiato: pare proprio di essere nel cuore della battaglia, tra cozzare di rostri e di spade. Tutto realizzato da ETT Spa.

Dopo oltre venti anni di guerra, entrambi gli eserciti, stremati, si preparavano alla battaglia finale. Sapevano che sarebbe stata sul mare. I cartaginesi mandarono una flotta immensa comandata da Annone per portare rinforzi e viveri ad Amilcare Barca impegnato a combattere a Erice. I romani invece, privi di risorse, dovettero ricorrere al crowdfunding per armare la loro flotta, ma con l’aiuto di notabili di Roma (alcuni dei loro nomi sono incisi nei rostri ora alla Tonnara) e di città alleate, in soli tre mesi costruirono ben 220 navi. Con queste il comandante Lutazio Catulo si impossessò facilmente del porto di Trapani, mentre Annone era giunto all’isola di Marettimo. Se avesse raggiunto Barca a Erice, e i due cartaginesi avessero unito le forze, per i romani non ci sarebbe stato più scampo. Lutazio Catulo doveva dunque intercettare Annone. Intuì la sua rotta: per evitare le insidie romane tra le Egadi e Trapani, aveva scelto di puntare verso nord e giungere a Erice da settentrione. Lutazio Catulo nascose le sue navi nel mare di Levanzo, al riparo di Capo Grosso, proprio dove Cecè Paladino trovò tutti quei ceppi d’ancora. La mattina del 10 marzo Annone salpò da Marettimo confidando nel vento favorevole. Nel corso della giornata, però, il vento mutò e risultò favorevole ai romani come Lutazio Catulo aveva previsto. Al giusto segnale, le navi romane uscirono dal loro “nascondiglio” cogliendo i cartaginesi di sorpresa. Colpito da ogni parte e incapace di avanzare per il vento contrario, in breve Annone fu costretto alla ritirata.

Prima d’ora, solo nella israeliana Atlit era stato trovato nel 1980 un rostro in mare. E tanti rostri così, tutti assieme, non li aveva mai visti nessuno. Uno è ancora in fondo al mare, altri tre stanno girando in mostra per l’Europa (tra cui uno sicuramente cartaginese con incisa un'invocazione al dio Baal) ma il grosso è già a Favignana. È una meraviglia nella meraviglia dell’enorme Stabilimento dove a fine Ottocento i Florio inventarono il sistema di conservare il tonno sott’olio. Acquisito dalla Regione e restaurato, dal 2009 è uno spettacolare esempio di archeologia industriale, e il luogo dove si narrano storie di imprenditoria e mattanza. È però anche, nelle intenzioni di tutti, una grande “fabbrica della cultura” capace di portare vita in un luogo frequentato abitualmente solo d’estate. Insomma è una sfida. Che si combatte con determinazione e, da ora, anche con le potenti armi dei rostri.

Cinzia Dal Maso - La Domenica, Il Sole 24 Ore - 26 Giugno 2016