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28/01/2018 06:00:00

"Loveless": una presa che non molla su quella parte di noi che cerchiamo di non guardare

 Di Andrej Zvyagintsev ho un ricordo chiarissimo. Scolpito in mente, tra le fascinazioni, le emozioni profonde che il cinema sparpaglia – mentre si crede possa essere solo una settima arte monca e futile –, nei decenni pieni zeppi di visioni (pubbliche o private) e di classifiche personali (sempre rimesse in discussione ma a cui si giura e si spergiura una fedeltà impossibile).

Era il 03 settembre del 2003, e seguivo (in diretta su un canale satellitare) dei servizi sulle proiezioni alla Sala Grande del 60° Festival internazionale di Venezia. Sinceramente ero lì, davanti allo schermo di casetta mia, nella speranza di cogliere qualche accenno al lavoro che più quell’anno mi intrigava e di cui – invece e maledettamente –, non mi giungevano dispacci. Quel “Il ritorno di Cagliostro”, della coppia di infanti prodigi del cinema palermitano che furono/sono/saranno  Maresco&Ciprì, che avrei poi potuto gustare, e solo molti mesi dopo, su un dvd scartato furiosamente e messo al volo nel mio tostafilm.

S’era appena finita la proiezione dell’opera prima di uno sconosciutissimo regista russo, l’Andrej in questione, e si sentiva chiaramente, dietro alle spalle del giornalista ed oltre un pesantissimo tendaggio porporino , l’applauso riconoscente del pubblico in sala. Me lo segnai quel nome, scritto sicuramente male e per intuito alfabetico; e feci bene. Tre giorni dopo, durante le premiazioni, Zvyagintsev e la sua troupe, metà della quale formata da dilettanti e da volontari, prese i due maggiori riconoscimenti. Prima il ‘Leone d’Oro del Futuro’ e poi quello come ‘Miglior film in programma’. Un trionfo assoluto, che Chiambretti – presentatore/mattatore della serata –, cercò in tutti i modi di smontare con la sua ironia sempre in agguato.

Ma Chiambretti stesso, commosso, dovette alzare le mani e batterle, quando – preso il microfono per il consueto commento del premiato –, il regista russo dedicò quel successo alla memoria di Vladimir Garin, uno dei due ragazzi protagonisti del film. Era morto solo pochi mesi prima, accidentalmente. Era annegato, in realtà, in quello stesso lago dove – nella finzione filmica – lui annegava il padre. O colui che credeva non potesse mai essere suo padre.

In un aneddoto del genere, nell’arte mista sempre alla vita, al dolore ed all’assunzione di verità, sta tutta la cifra di un autore (tra i più grandi dell’attuale panorama europeo), che Tp24 ha scelto di presentarvi nella sua ultima, stordente fatica. Un’altra prima visione assoluta, regalata da chi ama il cinema ‘vero’ a chi il ‘vero cinema’ lo cerca per l’ogni dove.

Buona visione, ed al prossimo film…

 

Marco Bagarella

 

 

 

Dicono del film

 

Citare Tarkovski parlando di Andrej Zvyagintsev è d’obbligo, soprattutto per quest’opera ultima che, abbandonando i toni millenaristici del precedente “Leviathan” a favore di un registro medio, ritrova più efficacemente la strada del grande cinema russo e dei suoi precursori.

Premio per la miglior sceneggiatura a Cannes 2014 e Golden Globe 2015 per il miglior film straniero con “Leviathan”, film leggendario pur nella sua giovane età, ritratto di grande impatto di un mondo in disfacimento che appunto nell’Apocalisse prossima ventura pescava il suo apparato metaforico, in “Loveless”, Zvyagintsev mette da parte le coloriture caricaturali e sarcastiche di quel film, compie una rinuncia opportuna a toni profetici e predicatori e si misura con il nocciolo di tutte le questioni riguardanti l’uomo: la famiglia, il nucleo originario di tutte le reazioni a catena successive, il crogiuolo di quanto di bene e di male si diffonde nel mondo dal momento in cui uno spermatozoo incontra il suo ovulo.

Si resta impietriti, non ipnotizzati, l’ipnosi è uscire da sé, “Loveless” ti ricaccia continuamente dentro, è una presa che non molla su quella parte di noi che cerchiamo di non guardare.

Il mondo intorno è la Russia di Putin e di Kiev, dei massacri di piazza Maidan e dei businessman con appartamenti open air e arredi da Salone Internazionale del Mobile.

(Yume)

 

Chiaro che la metafora sulla grande madre Russia che abbandona i suoi figli per correre dietro al benessere e al materialismo capitalista è fin troppo chiara e condivisibile, ma sono il rifiuto della responsabilità soggettiva e la ricerca egoistica dei propri obiettivi schivando qualsiasi ostacolo che costituiscono il cuore pulsante di “Loveless”. Un film dove manca l'amore, l'empatia, la solidarietà, dove il grigiore dei palazzi giganteschi divora il cuore e crea l'orrore, quella aberrazione che il regista con un solo brevissimo frammento del film ci sbatte in faccia: il pianto sommesso nascosto nel buio del ragazzino muto spettatore suo malgrado dell'ennesimo atto di bestialità dei suoi genitori.

(Massimo Volpe)

 

 

 

Il film in streaming gratuito

 

https://openload.co/f/hmvaxvAVLME

 

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