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18/03/2019 07:20:00

Scopelliti, la svolta dopo 30 anni: alleanza mafia - 'ndrine, indagato Messina Denaro

 Il summit fu fatto in primavera nelle campagne di Trapani. Era il 1991. C'era anche Matteo Messina Denaro quando Cosa nostra e 'ndrangheta decisero di stringere un patto, e il patto prevedeva, tra le altre cose, l'eliminazione del giudice di Cassazione Antonio Scopelliti, che venne infatti ucciso in Calabria nell'agosto successivo. E' questa la clamorosa ipotesi sulla quale lavorano adesso gli inquirenti, che hanno notificato 16 avvisi di garanzia ad altrettanti indagati, tra i quali spicca il boss latitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. 

Dietro il delitto Scopelliti, dunque, c'è un patto mafia-‘ndrangheta che chiama in causa il superlatitante Messina Denaro e pezzi deviati dello Stato. A distanza di 27 anni c’è una svolta nelle indagini sull’omicidio di Antonino Scopelliti, il magistrato della Cassazione ucciso ucciso il 9 agosto del 1991 a Villa San Giovanni mentre faceva rientro a Campo Calabro. La Procura distrettuale di Reggio Calabria ha indagato 17 persone, tra boss e affiliati a cosche siciliane e calabresi: tra i nomi figura anche il boss latitante Matteo Messina Denaro ricercato dal 1993.

Il caso si riapre dopo le dichiarazioni del pentito catanese Maurizio Avola, che collabora coi magistrati dal 1994, a proposito dei rapporti fra Messina Denaro e la ‘ndrangheta. Avola ha confessato 80 omicidi (compreso quello del giornalista Giuseppe Fava) ma non si era mai addentrato nel caso del delitto Scopelliti, né nei rapporti tra clan calabresi e siciliani. Il dubbio degli inquirenti è che non lo abbia mai fatto perché in quel rapporto potrebbero esserci anche relazioni con esponenti deviati delle istituzioni. Anche un altro collaboratore, Francesco Onorato, nel processo “‘ndrangheta stragista” ha sostenuto che Scopelliti fu ucciso dalle `ndrine per fare un favore a Totò Riina che temeva l’esito del giudizio della Cassazione sul maxiprocesso a cosa nostra.

Le nuove rivelazioni ruotano attorno a un “summit” che si sarebbe tenuto a Trapani nella primavera del 1991: il superboss Messina Denaro sarebbe stato fra i protagonisti di un “patto” firmato con i calabresi per eliminare il sostituto procuratore generale. Nell’agguato a Villa San Giovanni, infatti, avrebbe operato un commando misto. Il pentito Avola ha fatto ritrovare il fucile dei killer, nascosto nelle campagne del Catanese. Ad annunciarlo era stato il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri lo scorso agosto, a margine dell’ultima commemorazione per Scopelliti.


Oggi, però, emergono nomi e fatti dell’indagine. Sono 17 gli indagati nel fascicolo dell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Tutti di primo piano dei clan. Sette sono siciliani: Messina Denaro e i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola. E dieci calabresi: Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti. Tutti (tranne Messina Denaro) hanno ricevuto un avviso di garanzia, giovedì prossimo i pm conferiranno un incarico tecnico per esaminare il fucile calibro 12 e le 50 cartucce marca Fiocchi ritrovati dalla polizia dopo le indicazioni di Avola. I magistrati sono alla ricerca di riscontri: impronte, tracce genetiche e balistiche, prove da mettere a confronto con il frammento della cartuccia ritrovato sul luogo del delitto. Tra gli indizi ci sono anche un borsone blu e due buste.


Il sostituto procuratore generale della Cassazione stava completando il lavoro iniziato da Giovani Falcone e Paolo Borsellino. Il commando entrato in azione la sera del 9 agosto 1991 sarebbe stato composto sia da calabresi sia da siciliani e avrebbe utilizzato il fucile calibro 12 ritrovato nelle campagne siciliane proprio grazie alle indicazioni di Avola. Mentre era in auto venne affiancato da due persone a bordo di una moto che aprirono il fuoco e fecero finire il veicolo fuori strada. L’ipotesi dell’accordo mafia-`ndrangheta era stata presa in esame sin dall’epoca del delitto, anche perché Scopelliti doveva sostenere l’accusa nel maxi processo tant’è che i vertici della “cupola” finirono a processo ma boss del calibro di Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Nitto Santapaola e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, furono assolti in via definitiva dall’accusa di avere svolto un ruolo nell’assassinio dell’alto magistrato.