Domenica 24 novembre la nave Ocean Viking – delle ONG Sos Mediterranee e Medici senza frontiere – è sbarcata a Messina, con a bordo 213 naufraghi, tra cui donne e minori.
Roma ha indicato il porto della città siciliana come luogo sicuro per l'approdo, dopo che "Italia, Germania, Francia e Malta hanno congiuntamente richiesto alla Commissione europea l’attivazione della procedura di ricollocamento dei migranti salvati in diverse operazioni dalla Ocean Viking", ha comunicato il Ministero dell'Interno italiano. Un intervento europeo, continua il Viminale, "sollecitato da tutti i Paesi che hanno condiviso il pre-accordo de La Valletta". Si tratta di un'intesa, raggiunta il 23 settembre a Malta da questi quattro Stati, che prevede un meccanismo di ricollocamento automatico per le persone soccorse in mare ma che ancora non ha trovato la condivisione di altri paesi europei, con i risultati per una "solidarietà" europea finora mancanti.
Nel commentare la notizia, il leader della Lega ed ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini ha criticato le decisione del governo Conte II di indicare un porto sicuro alla nave della ONG, sostenendo che "porti aperti significano più partenze, più sbarchi, più morti". Si tratta di un'affermazione che disinforma e che mostra solo una parte della realtà. Vediamo perché.
"Porti aperti"
Con questa espressione il leader della Lega vuole indicare una differenza con la politica – definita dalla sua propaganda dei "porti chiusi" – portata avanti durante la sua permanenza alla guida del ministero dell'Interno. Come ha ricostruito però il sito di fact checking Pagella politica per Agi, durante il governo Conte I – nato dall'accordo politico raggiunto da Movimento 5 stelle e Lega – i porti italiani non sono mai stati chiusi in senso stretto.
Il Ministero dei Trasporti (competente in materia) e quello dell'Interno, da un punto di vista giuridico, non hanno infatti adottato un provvedimento formale di chiusura dei porti. Gli sbarchi di naufraghi sulle coste italiane con Salvini come ministro dell'Interno sono continuati. Seguendo comunque il calo iniziato nel luglio 2017 – dopo gli accordi raggiunti dall'allora governo Gentiloni con la Libia – e proseguito fino ad oggi.
Quello che si è registrato, invece, è stata la decisione da parte del Viminale di sospendere per più tempo possibile, in diversi casi, l'autorizzazione a sbarcare su suolo italiano alle navi con naufraghi a bordo e intraprendere una lotta a livello europeo per far sì che l'Europa si facesse carico dei migranti salvati. Il risultato è stato riassunto in una serie di tweet da Matteo Villa, ricercatore e responsabile del programma migrazioni all'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI): su oltre 15 mila migranti sbarcati, il 96% è rimasto in Italia.
Nei 14 mesi di governo Conte I, l'Italia ha adottato una "politica dei porti chiusi", aprendo 25 "crisi in mare". Le crisi hanno coinvolto 1.346 migranti e sono durate in media 9 giorni ciascuna. Ma cosa abbiamo guadagnato?
"Più partenze, più sbarchi, più morti"
Con il cambio di governo e l'entrata in carica lo scorso 5 settembre del Conte II, sostenuto da una maggioranza formata dal Movimento 5 Stelle, dal Partito democratico e da altre forze politiche, al Viminale è arrivata una figura "tecnica": Luciana Lamorgese, ex prefetto di Venezia e Milano e capo di Gabinetto del ministero dell'Interno dal 2013 al 2017.
Cosa è successo? Iniziamo dalle "partenze" dalla Libia. Sempre Villa ha verificato che ad oggi non sembra esserci un cambio statisticamente rilevante rispetto al periodo in cui Matteo Salvini era alla guida del ministero dell'Interno.
A parità di altri fattori, meteo incluso, le partenze dalla Libia dopo il cambio di governo sono (a oggi) statisticamente indistinguibili dal periodo del Conte I. Secondo invece uno studio dell'European University Institute – che certifica la non esistenza di una relazione diretta tra il numero di partenze dalle coste libiche e la presenza dei mezzi di soccorso in mare, in base a dati raccolti dal 2014 a ottobre 2019 –, a condizionare il flusso migratorio dalla Libia sono più fattori: la situazione libica, gli accordi raggiunti dal governo Gentiloni in Libia e le condizioni meteo.
Passiamo agli "sbarchi". In base ai dati del Ministero dell'Interno, dal 1 settembre al 26 novembre 2019 sono arrivati sulle coste italiane in totale 5430 migranti. Nello stesso periodo, durante il governo Conte I, ne sono arrivati 2934. Rispetto allo scorso anno, l'aumento quindi è stato di 2500 persone in più (in percentuale circa l'85%). Sentito da Valigia Blu, Villa sottolinea che si tratta però di numeri molto bassi e che quindi fare un paragone ad oggi non ha molto senso. Se si guarda ad esempio lo stesso periodo nel 2016, cioè l'anno prima dell'inizio del calo degli arrivi in Italia, i migranti sbarcati sono stati in totale circa 58 mila. Rispetto a questo dato, la riduzione avvenuta quando al Viminale c'era Salvini non si discosta molto dall'attuale: Conte I -95%, Conte II -91%.
Per quanto riguarda la situazione dei morti e dei dispersi in mare, Annalisa Camilli su Internazionale spiegava lo scorso ottobre che "il tasso di mortalità lungo la rotta del Mediterraneo centrale è sempre stato molto alto: intorno al 2 per cento, il che corrisponde alla morte di una persona ogni cinquanta che intraprende la traversata". Secondo i calcoli del ricercatore dell'ISPI, basati sui dati dell'International Organization for Migration (IOM), "prima del 2017 morivano quattromila persone all’anno. C’è stato un primo calo del numero dei morti in mare (che sono arrivati a circa 1.100) quando si sono ridotte le partenze dalla Libia, in seguito agli accordi del governo Minniti-Gentiloni con il governo di Tripoli. Ma la pericolosità della rotta non è diminuita, anzi è rimasta sempre intorno al 2 per cento".