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08/01/2020 06:00:00

Il caporalato in Sicilia e nel trapanese. I nuovi schiavi dei campi e la sentenza storica

 Segregati e costretti a mangiare cibo scaduto e lavorare tutto il giorno nelle serre e senza paga sottratta dai caporali. L’incubo di alcuni cittadini rumeni è iniziato con la promessa di una vita migliore in Italia. Tutto quello che gli era stato promesso era in realtà un inganno. Interi nuclei familiari rinchiusi in casa e costretti a subire ogni genere di violenza.

“Tratta di esseri umani per sfruttamento lavorativo”. E’ una sentenza storica quella del Gup di Catania: 20 anni di condanna per il capo dell’associazione a delinquere rumena. Il gruppo criminale operava dal 2016 e ha reclutato tantissime persone. Le indagini sono partite grazie alla denuncia di un uomo che ha trovato il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine. Ora è stato risarcito assieme ad altre vittime, accanto a loro Cgil e Cooperativa Proxima che dal 2003 si occupa di contrasto al fenomeno del caporalato. Caporali rumeni datori di lavoro italiani.

Operazione nel catanese - Purtroppo è un fenomeno ed un reato sempre più diffuso quello del caporalato in Sicilia. Sono diverse le operazioni eseguite dalle Forze dell’ordine un po’ in tutta l’Isola. Nei giorni scorsi a Catania il Nucleo ispettorato del lavoro (Nil, coordinato dalla Procura distrettuale, ha eseguito una ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari del Gip nei confronti di due fratelli catanesi, di 49 e 40 anni, rispettivamente titolare e socio di una società agricola, per sfruttamento del lavoro e violenza privata nei confronti dei propri otto dipendenti. Secondo l'accusa, dal 2015, li pagavano in maniera sproporzionata rispetto ai contratti di lavoro (25 euro al giorno per 10 ore lavorare contro i previsti 64 euro) costringendoli a svolgere turni di lavoro estenuanti, senza fruire di ferie, riposi settimanali ed indennità accessorie. Il lavoro svolto dai dipendenti violava anche la normativa in materia di sicurezza ed igiene. Le indagini sono state avviate dopo la denuncia di due operai romeni allontanati con minacce e violenze dall'azienda. Nei confronti dei due indagati è stata anche disposta la sospensione dall'esercizio dell'attività di impresa per un anno.

Caporalato nel trapanese - Ma anche in provincia di Trapani nel corso del 2019 ci  sono state alcune operazioni contro il caporalato eseguite dalla Guardia di finanza. Una in particolare ha portato all’esecuzione di quattro misure cautelari dell’obbligo di dimora per tre marsalesi e un rumeno che da 10 anni sfruttavano i braccianti agricoli di nazionalità rumena che lavoravano nei campi di Marsala, Mazara, Partanna, Salemi, Castelvetrano e Pantelleria, facendoli lavorare 11-12 ore al giorno, in condizioni vessatorie e in nero, minacciandoli anche con le armi e concedendogli solo mezz'ora per la pausa pranzo. I finanzieri   mggio hanno eseguito anche il sequestro della cooperativa agricola Colombia, del valore di circa 400 mila euro.

Gli affari per i caporali - Dall’indagine, avviata alla fine del 2016 su input di una fonte confidenziale, emerse che ai “caporali” l’opera di intermediazione con i proprietari dei terreni (in genere vigneti) sui quali erano impiegati i lavoratori avrebbe fruttato parecchio. Almeno una ventina di euro al giorno per ogni bracciante. A questi ultimi, fino al 2013, la giornata veniva pagata intorno a 35 euro. Nel 2014, ci sarebbe stato l’aumento a 40 euro, mentre i committenti avrebbero circa 60 euro per ogni giornata di lavoro. Un vero affare per i “caporali”.

Il racconto dei nuovi schiavi dei campi - “Lavoravamo 12 ore al giorno per 30 euro. Niente cibo, né acqua. Ci sputavano in faccia dicevano che dovevamo lavorare fino a pisciare sangue. Ci dicevano che se ci lamentavamo ci sparavano, perchè tanto di noi rumeni non interessa a nessuno”. E' il racconto degli schiavi dei campi. E' il racconto degli operai che hanno avuto il coraggio di denunciare i “padroni” che li sfruttavano nei terreni. E tutto questo è successo a Marsale non 70 anni fa, ma nel 2019. Un contesto definito di schiavitù. Operai che non solo vengono pagati poco, senza alcun contratto, ma non hanno neanche le tutele sanitarie e di sicurezza sul lavoro. Quando stanno male devono lavorare, altrimenti niente paga. Se si fanno male sul posto di lavoro, sono guai, nessuno li tutela.

La nostra giornata cominciava alle 5.30-6, ci venivano a prendere con un furgone 'i capi', i 'padroni' – così racconta uno degli operai che ha denunciato tutto. Venivamo stipati come sardine, ammassati, in 10, 11, in un furgone, e trasportati nelle campagne di Marsala, Mazara, Partanna, Castelvetrano, Salemi. Lavoravamo dalle 10 alle 12 ore al giorno. Avevamo al massimo mezz'ora di pausa. Il cibo? Dovevamo portarcelo da casa. Anche l'acqua, dovevamo provvedere noi a nostre spese”.