Chi difende il giornalismo libero in Sicilia?
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Chi segue Tp24 sa che il nostro giornale nasce per stare "dalla parte del torto". Non facciamo sconti a nessuno, soprattutto ai politici e agli amministratori, cerchiamo di raccontare le cose dal nostro punto di vista, andare dentro ai fatti, occuparci di cose che magari gli altri trascurano e che invece per noi sono filigrana per capire il tempo in cui viviamo. Non è facile, e non ti rende simpatico.
Non so chi diceva che in Italia è facile avere successo: basta sempre parlare bene di tutti. Ed è vero. Nei giornali, nella stampa locale, tira sempre un po' quell'aria da operetta ("tutto va bene madama la marchesa") che a me sta particolarmente indigesta. Poi, quando un personaggio finisce in disgrazia, allo stesso modo è insopportabile il modo in cui ci si accanisce.
Siamo contro i poteri, dicevo. Ci piace capire sempre cosa ci sia dietro a particolari fenomeni, soprattutto quando si parla di mafia, e di antimafia. Ecco, quest'ultimo è un campo dove siamo particolarmente bravi a farci nemici. Ma a noi interessa camminare a testa alta, dare a chi ci segue la possibilità di farsi un'idea fuori dal coro, fare prevalere la logica e il racconto, rispetto agli slogan e alle "verità" urlate.
E' per questo che da tempo stiamo collaborando con altri giornalisti per seguire da vicino cosa si muove dietro le fila di certa antimafia siciliana, cosa c'è dietro lo scioglimento per mafia di alcuni comuni, dietro le mirabolanti carriere di alcuni politici e giornalisti. Lo facciamo con serenità e tanta curiosità. E senza animosità.
Da un po' di tempo, ad esempio, cerchiamo di capire qualcosa di più sulle vicende di Paolo Borrometi, giornalista siciliano che più volte ha denunciato minacce ed intimidazioni, e che ormai è per alcuni a nuova icona dell'antimafia. Capire qualcosa in più non significa "avercela" con lui, anzi, ma serve a fare chiarezza sulle sue vicende e su come funzionano certi meccanismi e alcune carriere. Ripeto: senza pregiudizio.
Debora Borgese, valente e caparbia giornalista, proprio due giorni fa stava seguendo un processo su alcune minacce a Borrometi, chiamato a deporre in udienza. Debora, che come me ha il difetto dell'ingenuità, stava facendo una registrazione, per scrivere poi un articolo. Non sapeva che non si può fare. E' stata pizzicata, colta sul fatto. Ma purtroppo la cosa, anzichè finire lì, con un rimprovero, ha assunto i toni della tragedia. E da due giorni a questa parte leggo cose insopportabili: "una donna registrava di nascosto Borrometi", "una sedicente giornalista", "allerta massima", "caso anomalo", con il solito coro di solidarietà peloso. Qui per esempio potete leggere il delirante resoconto dell'Agi, agenzia giornalistica della quale peraltro Borrometi è vice direttore. Che classe.
Noi siamo per la libertà di stampa. Che è quella di Borrometi, ma che è di tutti. Anche e soprattutto di Debora, anche e soprattutto nostra. Ha fatto un piccolo errore, ma è sconcertante farla passare a momenti per una sicaria di mafia. Una vicenda così comica, perchè questo è: una vicenda comica, è rivelatrice però di come funziona la libertà di stampa in Sicilia. Non vale per tutti, e non tutti siamo uguali. E non puoi pretendere di essere libero, se cerchi di stare dalla parte del torto.
In un paese normale, l'Ordine dei giornalisti, Assostampa, la Fnsi, e chi più ne ha più ne metta, dovrebbero intervenire per difendere la libertà di una giornalista di poter seguire un'udienza, soprattutto se il suo lavoro si inserisce in un contesto che riguarda proprio il modo di intendere oggi il giornalismo. Invece, capita che organi che dovrebbero tutelare l’attività giornalistica, facciano passare chi cerca di fare bene il suo lavoro (e nell'interesse di tutti) come una specie di spia mafiosa.
Alla povera Debora sono arrivati insulti pesanti, accuse incredibili, e non ha avuto neanche la possibilità di una replica. Magari la ritroveremo in un prossimo libro del nostro, nel capitolo "quella volta che fui minacciato in udienza". Ormai è tutto possibile.
Giacomo Di Girolamo
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