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18/12/2021 11:21:00

Il boss Graviano: "Io e Berlusconi legati da un contratto di 20 miliardi"

 “Io e Berlusconi legati da un patto di 20 miliardi”. Sono dichiarazioni molto dure quelle del boss Giuseppe Graviano e che irrompono nella corsa al Quirinale dell'ex premier Silvio Berlusconi. Dichiarazioni contenute  nel verbale pubblicato da L’Espresso. Dopo il processo ‘Ndragheta stragista, infatti, Graviano è stato interrogato dai pm di Firenze che vogliono far luce sulle stragi del 1993.
Graviano non è un pentito qualsiasi, il boss di Brancaccio è stato condannato per le stragi di Falcone e Borsellino, per le bombe di Roma, Milano e Firenze, per decine di omicidi, fra cui quelli del piccolo Giuseppe Di Matteo e di don Pino Puglisi.

Come scrive Lirio Abbate su L'Espresso, Graviano ad aprile di quest'aanno racconta ai Pm di aver incontrato Silvio Berlusconi nel dicembre 1993, in un appartamento di Milano 3, un mese prima del video agli italiani in cui annuncia la “discesa in campo”. Graviano era latitante.
Si legge su L'espresso:“I due avrebbero parlato di affari, di comuni conoscenze e si sarebbero lasciati con un arrivederci, fissando un successivo incontro, il 14 febbraio, per definire l’accordo miliardario. Nel giorno di San Valentino, con Forza Italia già operativa, secondo lo stragista palermitano doveva essere formalizzato un patto economico con il futuro premier che si basava su una “carta” privata di alcuni anni prima. Un affare, sostiene l’ergastolano, ereditato dal nonno che assieme ad altri palermitani avevano “affidato” 20 miliardi di lire a Berlusconi in anni lontani. L’appuntamento però saltò, perché Giuseppe Graviano venne arrestato il 27 gennaio 1994 a Milano. È il giorno prima di quello in cui Berlusconi comparve su tutti i telegiornali, seduto alla scrivania del suo studio della villa di Arcore, per lanciare il suo appello agli elettori in vista di «un nuovo miracolo italiano» e della sua intenzione di candidarsi al voto del marzo successivo con un nuovo partito da lui fondato, Forza Italia.
Uno scenario a dir poco inquietante. Il boss delle stragi, Giuseppe Graviano, che incontra a dicembre del 1993 Berlusconi a Milano e poi, il 21 gennaio 1994, come racconta il mafioso Gaspare Spatuzza, vede il fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, al bar Doney di via Veneto a Roma” .
Durante il processo alla ’ndrangheta stragista il boss aveva detto in aula che se avessero indagato sul suo arresto avrebbero trovato i veri mandanti delle stragi, che gli imprenditori di Milano erano interessati a che non si fermassero le bombe «e che gli stessi si identificavano in Silvio Berlusconi».

Ora i pm di Firenze gli chiedono: «Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi?». Risposta: «Non lo so se è stato lui». Segue un lunghissimo “omissis” nel verbale.

Graviano racconta le collusioni economiche di Berlusconoi e di Marcello dell'Utri, ma le sue dichiarazioni non hanno ancora trovato riscontro. Le indagini proseguono, con gli investigatori a caccia della “carta” del “patto” scritto a cui fa riferimento il boss.


«Mio nonno, Filippo Quartararo, che lavorava nel settore ortofrutticolo, mi raccontò che aveva conosciuto Silvio Berlusconi attraverso un tramite il cui nominativo non conosco; Berlusconi gli aveva chiesto di operare un investimento di 20 miliardi di lire per le sue attività, con l’intesa di una partecipazione al venti per cento a tutte le attività ed ai proventi derivanti da tale investimento. Mio nonno non aveva questa cifra così esosa, ne ha parlato con mio papà. E allora si rivolse ad alcuni conoscenti coinvolgendoli nell’operazione. Mio nonno investì l’importo di quattro miliardi e mezzo di lire; le altre persone che investirono denaro insieme a lui erano Carlo Alfano, per l’importo di dieci miliardi di lire, poi Serafina, moglie di Salvatore Di Peri, Antonio La Torre detto Nino il pasticcere e Matteo Chiazzese, per l’importo residuo», spiega a verbale Graviano.


Perchè queste dichiarazioni? Perchè adesso? Per L'Espresso “l’obiettivo di Giuseppe Graviano e quello di suo fratello Filippo è la ricerca di una via d’uscita dal carcere, senza passare per la collaborazione con la giustizia, ma attraverso altri stratagemmi giudiziari, compreso l’annullamento dell’ergastolo ostativo e l’attacco del 41bis, il carcere impermeabile. Giuseppe sta facendo di tutto per lasciare la cella, come spesso ha promesso di fare al figlio Michele, concepito venticinque anni fa nel carcere dell’Ucciardone. E chissà cosa ha scritto il boss stragista alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, in una lettera che ha inviato subito dopo il suo insediamento”.

 

In più occasioni Giuseppe Graviano ha fatto riferimento ad un accordo sottoscritto da suo nonno e altri siciliani con Silvio Berlusconi, volto a regolare alcuni aspetti economici che vedevano coinvolti sia l’imprenditore milanese, poi diventato anche capo del governo, sia la cordata di palermitani riconducibili al nonno del boss.

 


«Mio nonno mi ha raccontato questa vicenda dopo la morte di mio padre avvenuta il 7 gennaio 1982; egli mi disse che mio padre non aveva voluto sapere nulla di questa situazione e mi chiese di occuparmene insieme a mio cugino Salvatore Graviano con il quale ci siamo rivolti a Giuseppe Greco, il papà di Michele (il papa di Cosa nostra ndr). Ad entrambi ho chiesto consiglio, raccontandogli tutta la storia dei rapporti tra mio nonno e Berlusconi». Ma quando i pm gli chiedono se Giuseppe e Michele Greco hanno fatto parte di Cosa nostra, Graviano risponde: «Sul punto non intendo fornire indicazioni» continua nel verbale Graviano.

Suo nonno, racconta Graviano, avrebbe consegnato “a mio cugino Salvatore una “carta” che mi ha mostrato: era firmata da Berlusconi e da tutte le persone che avevano effettuato l’investimento e prevedeva l’impegno di condividere il 20 per cento di quanto era stato realizzato con l’investimento iniziale. La carta era stata predisposta da un professionista, non so dire se un notaio, un avvocato o in commercialista”.

Ma quella “carta” il “contratto” Graviano la tiene stretta.
 «Perché non lo dice a noi e ci mette nelle condizioni di recuperarla questa carta?», gli hanno chiesto i Pm. «No, perché devo coinvolgere delle persone che io non vorrei coinvolgere […] per adesso non vi posso aiutare su questo punto. Se mi volete credere mi credete…», ha risposto il boss.
E ancora: «Questo documento era in possesso di mio cugino Salvatore; mi devo sentire con dei miei parenti che devono mettermi nelle condizioni di recuperare il documento; non ho interesse a recuperare il denaro, ma solo a far rispettare l’impegno e a far emergere la verità».

Aggiunge il boss: “L’ultimo incontro che ho avuto con Silvio Berlusconi è avvenuto nel dicembre 1993 nel corso del quale ci accordammo per formalizzare l’accordo di partecipazione societaria davanti ad un notaio per la data del 14 febbraio 1994”. Prima dell'incontro di San Valentino il boss viene arrestato, adesso queste dichiarazioni che squarciano la corsa alla Presidenza della Repubblica di Silvio Berlusconi.