Trapani, la condanna di D'Alì e le reazioni
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Com'era prevedibile, la condanna definitiva di Antonio D'Alì divide Trapani. Ieri l'ex Senatore si è costituito al carcere Opera di Milano, non attendendo la notifica della condanna.
"Con Tonino d'Alì ci separano tante cose - commenta l'ex deputato regionale Nino Oddo, che con D'Alì è stato insolito alleato durante la campagna elettorale per la corsa a Sindaco del 2017 -. Io figlio di umili contadini e lui rampollo degli agnelli di trapani. Ovvi i percorsi politici diversi. Ci siamo annusati nel tempo, poi frequentati, fino ad apprezzarne il grande spessore culturale e una visione del futuro di questo territorio che francamente non trovo in nessun altro protagonista della classe politica trapanese della seconda repubblica. Verosimile che la sua famiglia fatta di grandi latifondisti abbia nel secolo scorso intrattenuto rapporti di contiguita' con le presenze mafiose di questa provincia. Ma mi sento di escludere che i suoi successi politici siano riconducibili al sostegno di poteri occulti e illegali. Sostenerlo significherebbe mistificare la storia politica di questa terra".
"Ieri è toccato a Nasi, oggi a d’Alì ma il copione è sempre lo stesso: chi fa qualcosa per questa terra maledetta, la paga cara - dice invece Giovanni De Santis - So che verrò criticato per quello che ho scritto ma non ero nel codazzo degli adulatori quando conveniva e non mi accoderò al miserabile codazzo dei detrattori oggi che è parimenti conveniente. Chi conosce uomini e cose di questa città sa chi erano e chi sono i veri mafiosi a Trapani. Tutto il resto è roba che fa gola a certa stampa e che conviene a certi cialtroni".
Interviene sulla vicenda anche Nicola Morra, ex grillino, ex presidente della Commissione antimafia: "L'ex senatore di Forza Italia Antonio D'Alì, nella XVII legislatura eletto come me a Palazzo Madama ed oggetto di furibondi attacchi da parte del mio ex collega Vincenzo Santangelo, oggi è stato in via definitiva condannato a 6 anni per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso. Dal 2001 al 2006 è stato sottosegretario all'interno. Si poteva governare con Forza Italia? Credo proprio di no. Se vuoi camminare a testa alta, non la devi abbassare mai. Mai".
"Le sentenze non si commentano" è invece la lapidaria dichiarazione del Sindaco di Trapani, Giacomo Tranchida.
"D'alì è finito in cella perché, in anni di processi, non ha dimostrato l'estraneità ai numerosi fatti contestategli dalla procura distrettuale antimafia di Palermo - ragiona il decano dei giornalisti trapanesi, Gianfranco Criscenti -. Evidentemente, l'impianto accusatorio, quantomeno nei punti cardini, si è basato su fatti oggettivi e riscontrati. Detto questo, D'alì non lo ritengo un pericoloso criminale come qualcuno vorrebbe dipingerlo. È un politico che ha giocato con il fuoco per tutta la carriera politica, frequentando, incautamente, ma anche consapevolmente, personaggi notoriamente bordline. Oggi è giusto che paghi il conto, alla pari di Dell'Utri e Cuffaro. Ma non dobbiamo dimenticare che le condotte, a tratti spregiudicate, di D'alì sono quelle volute ed "approvate" da tanti trapanesi, come pure dal mondo politico di Centrodestra e di parte del Centrosinistra. Insomma, D'Alì non è stato un alieno, ma l'espressione di una società che, in questo sistema, ci vive comodamente bene".
Ad indagare su D'Alì è stato l'allora capo della Squadra Mobile di Trapani, Giuseppe Linares. Dal dirigente non arrivano commenti alla sentenza, tuttavia, se teniamo conto della eccessiva durata del processo "abbreviato" (ben undici anni), si può capire il tenore di un post pubblicato dallo stesso Linares: "Ciò che è tradizionalmente lento può diventare inesorabile".
"La sentenza mette fine ad una lunga, troppo lunga vicenda giudiziaria - dice Salvatore Inguì, coordinatore provinciale di Libera - Ma nella sua lungaggine e farraginosità vi è certamente un elemento che dovrebbe tranquillizzare tutti ossia il fatto che, data l'importanza politica del personaggio, l'autorità giudiziaria sicuramente non è andata a definire il processo in maniera superficiale. Non sento la necessità né di gioire né di disperarmi perché qua non si tratta di una partita con delle tifoserie contrapposte che inneggiano al proprio beniamino o che dileggiano il proprio avversario. Gli elementi del processo alla fine inequivocabilmente rimandano alla tesi degli inquirenti secondo cui l'ex senatore ha intrattenuto rapporti con personaggi di Cosa nostra con la consapevolezza di favorire i suoi interessi. Questi sono i fatti: punto! a questi ci atteniamo. La giustizia è rimettere la storia nella prospettiva più vicino alla realtà e dare merito a quelle persone che hanno combattuto, che si sono esposte, e che hanno onorato le propria carica istituzionale nella lotta per la legalità e la democrazia, e quindi penso al prefetto Sodano, per esempio ...".
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