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28/01/2023 06:00:00

Matteo Messina Denaro e il traffico delle opere arte

 “Con il traffico di opere d’arte ci manteniamo la famiglia”, scrisse in un pizzino Matteo Messina Denaro, a dimostrazione dell’interesse che da sempre ha avuto sia lui che il padre per l’arte.  

Assieme ad armi e droga gli affari illeciti dietro al mercato internazionale di opere d’arte sono sicuramente redditizie e al boss arrestato, lunedì 16 gennaio, alla clinica La Maddalena, dopo quasi 30 anni di latitanza, a trasmettere l’amore per le opere d’arte e l’archeologia è stato proprio il padre, così raccontava il collaboratore Giovanni Brusca: “È stato don Ciccio a trasmettere a suo figlio Matteo l’amore per l’archeologia”.

Tombaroli a Selinunte – Francesco Messina Denaro, fu tra i primi tombaroli che saccheggiarono l’area archeologica di Selinunte, riuscendo per decenni a far passare dalla Sicilia, poi in Svizzera, reperti archeologici di vario tipo e valore che sono state catapultate in alcune delle collezioni più celebri e ricche del mondo, come il Getty Museum di Malibu.

Gianfranco Becchina - L’intermediario per le opere d’arte dei Messina Denaro è Gianfranco Becchina (qui una inchiesta di Tp24). Alcuni collaboratori di giustizia, come Rosario Spatola e Vincenzo Calcara, lo indicano come vicino sia alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara che a quella di Castelvetrano. Per conto di quest’ultima, dei Messina Denaro, avrebbe trafficato reperti archeologici. L’indagine a suo carico viene poi archiviata nel 1994. Nel 2001 una vasta indagine coordinata dalla Procura di Roma lo inquadra come “a capo di una agguerrita organizzazione criminale dedita da oltre un trentennio al traffico internazionale di reperti archeologici, per la gran parte provenienti da scavi clandestini di siti italiani ed esportati illegalmente in Svizzera per essere poi immessi nel mercato internazionale”. Nato a Castelvetrano, dagli anni Settanta è proprietario di una galleria a Basilea, la Antike Kunst Palladion. Gli inquirenti indagando su Becchina hanno scoperto un sarcofago romano in vendita per quattro milioni di dollari che oggi si trova a Roma nei magazzini del corpo dei Carabinieri specializzato nella tutela del patrimonio e sequestrato di migliaia di reperti antichi che venivano immessi nei più lucrosi livelli del mercato antiquario internazionale.

Il tentativo di rubare il “Satiro danzante” – Tra gli obiettivi di Matteo Messina Denaro come opere d’arte da rubare per poi vendere, c’è stato anche il Satiro danzante di Mazara del Vallo scoperto nel 1998. A parlarne è stato il pentito della famiglia mafiosa di Marsala Mariano Concetto. Lui stesso era stato coinvolto, a fine anni novanta, su ordine di Andrea Mangiaracina, all’epoca capo mandamento di Mazara e latitante, nel progetto di rubare e vendere il Satiro. L’ordine, però, arrivava da più in alto, da Matteo Messina Denaro . “In gergo nel nostro ambiente il Satiro veniva detto ‘pupo’”, raccontò Concetto. Mangiaracina disse che dopo il furto il reperto sarebbe stato piazzato sul mercato illegale delle opere d’arte direttamente da Matteo Messina Denaro attraverso canali svizzeri sui quali il boss poteva contare. A dire del boss, dopo due tentativi di furto non riusciti il progetto di rubare il Satiro sarebbe stato abbandonato da cosa nostra.

La scelta dei luoghi d’arte per le stragi di Roma, Firenze e Milano - Un preciso criterio di valutazione del valore storico e artistico dei luoghi è stato alla base della scelta di Matteo Messina Denaro degli obiettivi degli attentati del 1993, che furono: i Palazzi Lateranensi e il Velabro a Roma, Via dei Georgofili vicino gli Uffizi a Firenze, Via Palestro sotto il Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano.

Il furto della Natività di Caravaggio – Secondo le dichiarazioni del “discusso” pentito Vincenzo Calcara, ci sarebbe la famiglia Messina Denaro dietro ad uno dei più famosi furti d’arte di tutti i tempi, quello della Natività con San Francesco e San Lorenzo del Caravaggio. Il furto è avvenuto tra il 17 e il 18 ottobre del 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e da allora mai più ritrovata. In quel caso, però il responsabile non sarebbe certamente Matteo Messina Denaro, visto che aveva appena sette anni, ma il padre Francesco. Sono tante le ipotesi riguardo alla fine di questo dipinto: forse di trova in un luogo misterioso, altri ritengono che si finito in Svizzera per mano di Badalamenti, altri come Spatuzza dicono che sia stato nascosto in una stalla e distrutto da maiali e topi, oppure è stato usato come arma di ricatto per ottenere un alleggerimento del 41 bis, secondo il collaboratore Giovanni Brusca.