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14/02/2023 06:00:00

Trapani, la mafia, Messina Denaro, la politica. Il caso D'Alì, spiegato / 6

Continuiamo la nostra inchiesta a puntate sul caso di Antonio D'Alì, l'ex senatore di Trapani condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Stiamo, da giorni, analizzando e spiegando le ragioni che hanno portato alla sua condanna, secondo i magistrati, cercando anche di fare emergere qualche contraddizione dell'impianto accusatorio, e altri elementi che diano possibilità di chiarire il contesto della vicenda. Ieri, ad esempio, abbiamo spiegato che, nonostante tutte le perplessità del caso, è stato ritenuto attendibile il "collaboratore" Antonino Birrittella, imprenditore mafioso di Trapani che, dopo il suo arresto, nel 2005, ha deciso di vuotare il sacco.

Birrittella non è il solo teste dell'accusa. Con lui ce ne sono altri due, che hanno il ruolo non di raccontare fatti specifici, ma di rafforzare il contesto nel quale l'imputato avrebbe agito per favorire la mafia. 

Come Birrittella, attendibile è ritenuto Don Ninni Treppiedi, l'ex consigliere spirituale di D'Alì. Anche su di lui c'erano alcune perplessità, ma il sacerdote per la Corte d'appello è credibile. Secondo Treppiedi, in quella che ai giudici è apparsa una deposizione "del tutto sincera", D'Alì si era avvicinato a lui per un'esigenza di "riavvicinare la propria immagine all'elettorato cattolico", anche se poi Treppiedi aveva numerose richieste da fare a D'Alì ("umane debolezze" per i giudici). Ma Treppiedi aveva concesso la fiducia e l'amicizia a D'Alì, esponendosi in prima persona per difenderlo, per un soggetto che non ne era meritevole. Treppiedi dice di essere rimasto vicino a D'Alì pure quando ha saputo del telegramma inviato da Virga, della vicenda della vendita di Zangara, ed anche quando D'Alì gli ha chiesto di invitare l'ex sindaco di Valdercie Camillo Iovino a rendere false dichiarazioni per coprire i suoi rapporti con Tommaso Coppola. Per la difesa di D'Alì le dichiarazioni di Treppiedi sono frutto di astio nei suoi confronti, il tribunale lo esclude. A proposito, circa questo famoso telegramma che sarebbe stato inviato nel Natale 1998 da Virga jr a D'Alì dal carcere (ne abbiamo parlato in una delle scorse puntate), va detto che, in effetti, di questo telegramma non c'è traccia. Non solo non è stato mai ritrovato, ma anche nei registri del carcere dal quale sarebbe stato inviato non risulta. 

La difesa di D'Alì contesta a Treppiedi di rendere dichiarazioni solo dopo che il pm aveva già discusso la causa, e dopo e che erano usciti articoli sulla vicenda. Parla di "intempestività" e della circostanza poi, che Treppiedi, in effetti, non aggiunge elementi nuovi, ma  "racconta fatti noti". In udienza sono stati prodotti dalla difesa degli articoli che erano usciti prima delle dichiarazioni di Treppiedi: "Invero, si tratta di articoli di stampa attestanti che determinate notizie attinenti alle vicende processuali contestate a D’Alì  era state pubblicate prima che venissero rese le dichiarazioni accusatorie da parte di Treppiedi, sospette appunto per la loro intempestività; notizie giornalistiche che, in certi casi, addirittura, hanno costituito l’input, la fonte per le indagini". Sempre per la difesa, "Treppiedi nutriva astio nei confronti della seconda moglie di D’Alì, Postorivo"  e dell'entourage di Forza Italia trapanese. Treppiedi è noto alle cronache, inoltre, per la vicenda che l'ha visto "battagliare", con diversi colpi di scena, con l'ex vescovo di Trapani Miccichè. All'inizio era il Vescovo il grande accusatore, poi i ruoli si ribalteranno completamente (e si arriverà alla rimozione del Vescovo). Secondo i legali di D'Alì, Treppiedi nutriva astio nei confronti del senatore per come si era comportato in questa vicenda. come dichiara in udienza “… lo scontro con Miccichè nel giugno del 2011 e lui al posto di schierarsi al mio fianco dopo tutto quello che io avevo fatto per lui … confermo tutto … quella cosa mi bruciò molto …".

L’altra grande accusatrice di D’Alì è l’ex moglie Maria Antonietta Aula. Anche in questo caso, la vicenda è tormentata. E’ stata ritenuta inattendibile in primo grado, poi però la Cassazione ha ribaltato tutto, perché le sue dichiarazioni sono “concordanti” con quelle del pentito Geraci sulla vicenda del fondo di Contrada Zangara, e secondo i giudici “non si è lasciata influenzare”, anzi, le sue parole servono a "corroborare" il protagonismo dei Messina Denaro.  Della vicenda del fondo ci siamo occupati nella puntata dell'inchiesta che potete leggere cliccando qui. E anche quando ha raccontato del vassoio d’argento regalato dai Messina Denaro al suo matrimonio con D’Alì non ha aggiunto particolari, per non voler danneggiare l’ex marito, dicono i giudici. Anche se, a ben vedere, diciamo, il danno glielo ha fatto comunque. Anzi, in qualche caso, secondo i giudici, a momenti la Aula nella sua deposizione aveva uno “smaccato atteggiamento” teso ad “edulcorare” i fatti che avrebbero potutto macchiare l’immagine dell’imputato … L'episodi del vassoio è raccontato anche da Treppiedi, che cita il racconto che gli ha fatto D'Alì:  "Mi disse che si trattava di regali di circostanza e che, anche se i Messina Denaro avevano donato un oggetto di pregio in occasione delle sue nozze, la famiglia D'Alì, in ogni caso, aveva di gran lunga beneficiato i Messina Denaro in tanti modi”.

E' Aula che nella sua intervista alla giornalista Sandra Amurri racconta del telegramma ricevuto dal figlio di Virga, ed indirizzato all’allora Senatore: “Tu sei là che ti diverti … e io sono qua rinchiuso … Io qua che faccio? Tu mi avevi detto che io non ci sarei andato a finire e invece tu te ne vai per i fatti tuoi”. Telegramma del quale però non c’è copia. Le sue dichiarazioni sul telegramma coincidono con quelle di Treppiedi, che dice che poi, quando la notizia del telegramma divenne pubblica, ci fu una grande fibrillazione. Deve escludersi, per il tribunale, che la donna abbia voluto danneggiare il marito. Anzi, se c’è stata qualche omissione o reticenza, è stata proprio per tutelare il padre dei suoi figli. Inoltre, ad esempio, in sede di sommarie informazioni, invece, Aula non ha manifestato alcun astio nei confronti del marito (ed anzi nel corso dell'escussione del 30 novembre 2011, si è avvalsa della facoltà di astenersi dal deporre in ragione del rapporto di coniugio sulla titolarità da parte di D'Alì di conti bancari in Lichtenstein).

L'intervista della giornalista Sandra Amurri alla prima moglie di D'Alì è uno degli episodi più citati in questo lungo processo.  Fece infuriare D'Alì (“quella mi vuole mandare in galera", è quello che avrebbe detto D'Alì a Treppiedi, poi da lui riferito ai giudici). Va anche detto che, comunque, Amurri ha riportato diverse condanne per diffamazione a danno di D'Alì. Una condanna arriva per un articolo nel quale, facendo riferimento proprio all’intervista con Aula, scrive della presenza al matrimonio della sorella di Matteo Messina Denaro di Mannino e Dell’Utri. L’Aula invece viene assolta perché non ha mai riferito detta circostanza. L’altra sentenza emessa dal Tribunale Civile di Palermo condanna Amurri per la redazione di un articolo dove si attribuisce all’Aula la fonte della conoscenza sulla partecipazione di Cuffaro al matrimonio della sorella di Matteo Messina Denaro, circostanza risultata falsa. Ancora, la Corte di Appello di Roma condanna l’Amurri per avere, tra le altre, diffamato D’Alì Antonio manipolando un’intercettazione ambientale di  Risalvato, acquisita e trascritta dalla DDA di Palermo, laddove le parole “da lì”, sono diventate “D’Alì” e anche il testo dalla seconda persona singolare, “mi puoi aiutare” è stato modificato alla terza persona singolare, cioè “mi può aiutare”. 

Piccola curiosità. La Aula dice di aver scoperto della caratura criminale di Francesco Messina Denaro solo molto tardi, da giornali. E quando chiese conto e soddisfazione al marito, lui le rispose così: "Antonietta cara,  non lo sai i giornalisti come sono, devono pure scrivere qualcosa. Don Ciccio era un uomo rispettato da tutti, anche dal prefetto di Milano, Amari, a cui faceva la raccolta delle olive". Originario di Agrigento, Domenico Amari fu Prefetto di Milano dal 5 gennaio 1976 al 3 gennaio
1980, per poi passare al Viminale con funzioni di ispettore generale.



Native | 2024-04-25 09:00:00
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