Il boss di Cosa nostra, capo della famiglia mafiosa di Castelvetrano e ritenuto uno dei mafiosi più pericolosi al mondo, è deceduto nell'ospedale de L'Aquila, dove era ricoverato a seguito delle complicazioni del grave tumore al colon che lo aveva colpito.
Come già in molti avevano intuito al momento del suo clamoroso arresto, lo scorso 16 Gennaio 2023, dopo una latitanza durata quasi trent'anni, la malattia ha lasciato a Matteo Messina Denaro pochi mesi di vita.
Matteo Messina Denaro, noto anche con i soprannomi “U Siccu” e Diabolik era nato a Castelvetrano il 26 Aprile 1962, aveva 61 anni.
Capo indiscusso del mandamento di Castelvetrano e della mafia nel Trapanese, era considerato uno dei boss più importanti di tutta Cosa nostra. Difficile condensare in poche righe la sua biografia criminale (segnaliamo, in questo senso, la lungo lavoro di inchiesta svolto dal peraltro direttore di Tp24, Giacomo Di Girolamo, con il suo libro "L'invisibile" e con il successivo "Matteo va alla guerra").
I MESI IN CARCERE Dopo l’arresto Messina Denaro è stato rinchiuso al carcere di massima sicurezza de L’Aquila, in regime 41bis.
In carcere Messina Denaro è stato sottoposto a periodici cicli di chemioterapia in una stanza-infermeria allestita appositamente all'interno del penitenziario abruzzese. Le condizioni del boss sono state in lento ma costante peggioramento. La malattia ha portato con sé delle complicazioni dal punto di vista urologico. In estate aveva subito anche un piccolo intervento nell'ospedale San Salvatore de L'Aquila. Il suo legale aveva chiesto il ricovero in ospedale definendo le condizioni di Messina Denaro "non compatibili con il carcere duro" perché "deve essere assistito 24 ore al giorno".
Proprio nel giorno del ricovero è stato depositato il primo verbale dell'interrogatorio fatto a Messina Denaro il 13 febbraio scorso.
Nega di aver fatto parte di Cosa nostra, respinge le accuse di stragi e omicidi, specie quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito, strangolato e sciolto nell’acido dopo 25 mesi di prigionia, smentisce di aver mai trafficato in droga («ero benestante, mio padre faceva il mercante d’arte»), sostiene che la sua latitanza è terminata solo per colpa della malattia. In 70 pagine di interrogatorio Matteo Messina Denaro non concede nulla ai magistrati.
Nel lungo verbale il boss mette subito in chiaro: «Escludo di pentirmi». Accetta di rispondere alle domande, ammette solo quel che non può negare: il possesso della pistola, la corrispondenza con Bernardo Provenzano, la vita da primula rossa scelta per difendersi dallo Stato che lo accusa «ingiustamente» e poco altro.
LA FIGLIA Matteo Messina Denaro aveva una figlia, Lorenza, che solo negli ultimi mesi di vita ha conosciuto (per quanto ne sappiamo) e lei, ormai giovane donna, ha cambiato cognome.
Lorenza ha incontrato per la prima volta lo scorso aprile in carcere il padre. Le condizioni di salute e la detenzione hanno accelerato e cambiato quello che era un rapporto che fino a questo momento appariva freddo e di distacco, con Messina Denaro che sembrava avesse in un certo qual modo ripudiato la figlia. In una sua lettera, infatti, aveva scritto «Solo Lorenza è degenerata nell’infimo, le altre di cui so sono cresciute onestamente».
dopo i ripetuti incontri in carcere con il padre - è stata Lorenza stessa a decidere di incontrarlo -, il decorso della malattia ha accelerato la decisione di ricomporre, anche per l'anagrafe, un rapporto al quale sono mancate la dimensione fisica e l'atmosfera familiare. “Una storia molto privata e senza intermediari”, ha assicurato l'avvocato-nipote del boss, Lorenza Guttadauro, che ha scritto lei l'istanza per fare ammettere in carcere il notaio che ha raccolto la volontà di Messina Denaro. Le due donne, cugine, hanno seguito insieme a L'Aquila gli ultimi giorni dell'ultimo grande latitante di Cosa nostra.
FUNERALI BLINDATI Niente funerali pubblici a Castelvetrano. La salma di Messina Denaro arriva al cimitero della sua città pochi giorni dopo la morte. Un cimitero blindato, in cui i familiari hanno assistito alla tumulazione nella cappella di famiglia.
Ad attendere il feretro del boss castelvetranese c'era tutta la famiglia Messina Denaro riunita, tranne l'anziana madre Lorenza Santangelo e le sorelle Rosalia e Patrizia, rinchiuse in carcere. Con una mano poggiata sul lunotto del carro funebre e l'altra con un mazzo di rose gialle, così Salvatore Messina Denaro, ex bancario, che indossava mascherina anti-covid e occhiali da sole, ha salutato il fratello del quale negli anni della latitanza era diventato il suo alter ego, gestendo gli affari della famiglia mafiosa e per questo condannato. Ma ad accogliere la salma del boss c’erano anche le due sorelle Bice e Giovanna. I nipoti e i cognati del boss. In più c’era anche la figlia, Lorenza, con la quale il boss si era riavvicinato dopo l’arresto.
COSA NOSTRA DOPO MESSINA DENARO
Una domanda ricorreva con più frequenza, nei giorni e nelle settimane successive alla morte di Matteo Messina Denaro. Cosa succede a cosa nostra, alla mafia, c’è un nuovo capo?
E possono essere tante le risposte, tutte contenute nelle tantissime reazioni alla morte del boss di Castelvetrano.
Ma tra le tante una delle più lucide analisi è certamente quella di Attilio Bolzoni, giornalista, con 40 anni di esperienza nel racconto e nello studio della mafia, sul Domani.
“Adesso che non c'è più, ora che è caduto per sempre quell'alibi che è stato a lungo Matteo Messina Denaro, finalmente qualcuno - si spera - comincerà a indagare su chi è il padrone della mafia di Trapani e forse della Sicilia intera. Tempo dietro a lui ne hanno perso tanto per prenderlo (e anche soldi, moltissimi soldi per finanziare missioni infinite a schiere di investigatori a caccia perenne del latitante) ma di sicuro hanno perso tempo - sempre a causa sua - nell'aggiornare le mappe criminali e scoprire chi comanda veramente in quella che è la provincia più misteriosa dell'isola” scrive Bolzoni.
Tanto tempo hanno impiegato sulle sue tracce le forze dell’ordine in questi anni. L’ultimo sforzo l’hanno compiuto i Ros, che il 16 gennaio hanno arrestato Messina Denaro mentre si recava alla clinica La Maddalena per sottoporsi alle cure contro il cancro che lo ha stroncato.
In questi mesi è stata una caccia continua ai fiancheggiatori del boss, a chi ha permesso la sua latitanza, quanto meno quelli che Bolzoni definisce favoreggiatori “orizzontali”. Perchè resta sempre senza risposta la domanda su quali fossero le coperture ad alto livello.
«Cosa Nostra è viva e ancora forte, ma ha avvertito il colpo indubbiamente, sia riguardo alla provincia trapanese, della quale Messina Denaro era a capo, sia attraverso la altre province mafiose che guardavano a questa figura come un simbolo. Verranno avviati rapporti dialettici all'interno dell'organizzazione, nella provincia trapanese e nelle altre province, perché comunque andrà individuato un nuovo capo dell'organizzazione. Il lavoro va avanti per individuare compiutamente la rete di favoreggiamento e le ricchezze, ovvero i settori dell'economia che erano controllati da imprenditori vicini all'organizzazione». Così il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, in merito alla morte del boss Matteo Messina Denaro.
La morte di Matteo Messina Denaro, però, non segna la fine di cosa nostra, non segna la fine della mafia. Nuove e più fluide organizzazioni criminali si insinuano nella società. La morte di Matteo Messina Denaro segna la fine di una stagione, piena di misteri e di domande che difficilmente troveranno risposta.
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