Pizzolungo, una strage italiana /2. L'indagine, la droga, le logge massoniche
Per cercare di comprendere le dinamiche dietro alla Strage di Pizzolungo, occorre seguire le "logiche" del sistema criminale che ha ordinato ed eseguito la strage. Le indagini di Carlo Palermo portarono a un quadro che metteva assieme buona parte dello Stivale italiano, da Trento a Trapani, attraversava l’Europa dell’Est arrivando in Russia e, ancora, il Medio Oriente, il Libano, la Turchia e gli Stati Uniti. Tutti legati da un filo comune: il traffico di droga e di armi. Ma non si può non tenere presente come, oltre ai traffici di droga e armi, a Trapani, subito dopo la Strage di Pizzolungo, venga scoperta una delle reti massoniche più grandi della Sicilia. Proseguiamo oggi con il racconto (QUI LA PRIMA PARTE) in occasione del 40° anniversario della strage che il 2 Aprile del 1985, aveva come obiettivo il giudice Carlo Palermo che, miracolosamente si salvò dall'esplosione che causò la morte di Barbara Rizzo e dei suoi due figli gemelli, Giuseppe e Salvatore.

L'indagine, la droga da Trento a Trapani
Circa un mese dopo la strage, ad Alcamo, infatti, venne scoperto il più grande laboratorio di morfina base d’Europa, rifornito dalla stessa organizzazione criminale operante a Trento. Questo laboratorio era sotto il controllo di Cosa Nostra, e il suo responsabile era il boss alcamese Vincenzo Milazzo, all’epoca uomo di fiducia di Riina, che verrà condannato con altri boss come esecutore materiale della Strage di Pizzolungo, ma poi nel '90, in appello e poi in Cassazione, assolto.
In quel quadro che fa da sfondo alla Strage di Pizzolungo, bisogna ricordare che appena un anno dopo, esattamente il 6 aprile 1986, poco dopo il trasferimento del giudice Palermo a Roma (come funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia), a Trapani venne scoperta una serie di logge massoniche coperte, nascoste dietro la facciata del Centro Studi “Scontrino”. Queste logge erano sede di incontri tra massoni, templari, politici e mafiosi, tra cui alcuni sospettati di aver partecipato all’attentato di Pizzolungo, nonché dell’Associazione Musulmani d’Italia, presieduta dal rappresentante di Gheddafi in Sicilia.

Il contesto trapanese e la Loggia Scontrino
Come detto, era il 1986 quando a Trapani, sotto l’insegna del circolo culturale “Centro Studi Scontrino”, guidato da Gianni Grimaudo, venne scoperta una tra le più grandi reti di logge massoniche in Sicilia. Nell’aprile dell’86, ad appena un anno dalla Strage di Pizzolungo, il capo della Squadra Mobile di Trapani, Saverio Montalbano, fece irruzione con i suoi uomini presso il Centro Studi, inaugurato dallo stesso gran maestro della P2 Licio Gelli, e dove si celava la sede di ben sei logge massoniche: Iside, Iside 2, Hiram, Cafiero, Ciullo d’Alcamo, Osiride, e una settima, scoperta successivamente e chiamata Loggia C.
Lo spunto di quell’indagine arrivò quando, in Questura a Trapani, giunse un esposto che denunciava delle irregolarità nella nuova nomina del comandante e del vice comandante dei vigili urbani. Nella lettera, oltre alle irregolarità per il concorso, si suggeriva di indagare sulle logge del circolo culturale Scontrino.

Chi c'era nella Loggia segreta
I poliziotti, nel corso del blitz, sequestrarono gli elenchi di sette logge massoniche con 200 iscritti e, da un primo esame, la documentazione sembrava regolare. Indagini più accurate del capo della Mobile permisero di intuire che esisteva in realtà una loggia coperta, i cui quasi cento iscritti non erano presenti negli elenchi ufficiali. L'inchiesta continuò ed emersero i primi nomi segreti.
Nella loggia massonica coperta c’erano funzionari del Comune e della Provincia, burocrati della Prefettura, imprenditori edili, commercianti, un deputato della Democrazia Cristiana e boss mafiosi. Tra gli appartenenti alla loggia, che riuniti in un comitato decidevano le sorti della città di Trapani e forse dell’intera provincia, figuravano: l'assessore regionale democristiano agli Enti Locali Francesco Canino; l'ex assessore provinciale DC Salvatore Bambina; il primo dirigente della Prefettura. C'erano alcuni dirigenti del Comune, il questore Giuseppe Varchi, iscritto alla P2 con la tessera n. 908; c'era il comandante dei vigili urbani; il sacerdote don Agostino Coppola, nipote del mafioso Frank Coppola; Francesco Ingrande, funzionario della Commissione Provinciale di Controllo; il maresciallo dei vigili urbani di Trapani Nino Corselli. Ma accanto a questi personaggi delle istituzioni, c’erano anche i boss mafiosi come Mariano Agate di Mazara del Vallo, c'erano anche Natale L'Ala di Campobello di Mazara; Mariano Asaro di Castellammare del Golfo; Vincenzo Rimi, figlio di Natale Rimi, boss della famiglia di Alcamo e c'era Gioacchino Calabrò, ritenuto tra gli autori materiali della strage di Pizzolungo, condannato in primo grado all'ergastolo e poi assolto.
Pentiti, testimonianze, i Messina Denaro e la strage decisa in una riunione a Castelvetrano
La strage di Pizzolungo, secondo le dichiarazioni del pentito Santino Di Matteo, venne decisa in una riunione di mafia a Castelvetrano, alla presenza dei capi assoluti di Cosa Nostra trapanese, Ciccio e Matteo Messina Denaro, padre e figlio. Ad accusare invece Vincenzo Galatolo, boss dell’Acquasanta, furono la figlia "ribelle" Giovanna Galatolo e il pentito Francesco Onorato. «Non appena il telegiornale diede la notizia, mia madre iniziò a urlare: 'I bambini non si toccano'. Mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa». «Avevo vent'anni» racconta Giovanna. «A casa sentivo mio padre che diceva: 'Quel giudice è un cornuto'. Poi si verificò l'attentato. E mi resi conto. Anche mia madre capì. Non si dava pace».
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