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26/04/2025 06:00:00

Il Ponte sullo Stretto diventa "opera militare". Così Salvini vuole finanziarlo col riarmo europeo

 Chi pensava che il Ponte sullo Stretto fosse finito nel dimenticatoio (da un po’ di tempo era scomparso, nell’agenda delle dichiarazioni quotidiane del nostro) dovrà ricredersi. Matteo Salvini, Ministro dei Trasporti, non ha affatto mollato la presa, era solo indaffarato con il congresso della Lega.

E ha rilanciato, con una mossa a sorpresa: definire, con una nota inviata a Bruxelles, l’opera “militare”, cioè “strategica per la difesa europea e della Nato”. Il Ponte sullo Stretto entra così nel piano europeo di mobilità militare, il Military Mobility Action Plan, con lo scopo dichiarato di agevolare lo spostamento di truppe e mezzi tra Nord Europa e Mediterraneo. Gli scenari si fanno subito epici e rimandano ai film di guerra, a pellicole come “Quel ponte sul fiume Kwai”, o tante pellicole belliche dove, in realtà, i ponti, anziché costruirli, li fanno saltare. Ma a forza di parlare di “invasione” da parte degli stranieri e di “difesa dei confini della nostra patria” la cosa gli deve essere sfuggita di mano.

Va però aggiunto che questa dichiarazione ha un effetto collaterale non secondario: se l’opera è strategica per la difesa, è possibile bypassare le rigidissime norme ambientali europee.

La Sicilia e la Calabria – lo certifica Eurostat – sono oggi tra le regioni con il più basso tasso di occupazione in Europa, peggio persino della Guyana francese. I numeri sono impietosi: la Calabria è ferma al 44,8%, la Sicilia al 46,8%. Una vera emergenza. Eppure, la risposta del governo è puntare tutto su un’infrastruttura dal costo stimato di 14 miliardi di euro, definita ora come “imperativa e prevalente per l’interesse pubblico”.
“Il Ponte – ha dichiarato Salvini – garantirà 120.000 nuovi posti di lavoro e sarà una rivoluzione positiva da Sud a Nord”. Ma dietro l’ottimismo del vicepremier si intravede un’altra strategia: far rientrare l’opera nel perimetro della spesa militare, aiutando così l’Italia ad avvicinarsi alla soglia del 2% del PIL richiesta dalla Nato. La stessa soglia che oggi divide i partiti italiani tra favorevoli e contrari alla corsa al riarmo.

La relazione trasmessa alla Commissione europea – firmata da Giorgia Meloni e Matteo Salvini – sostiene che il Ponte è “fondamentale in caso di scenari di guerra”. E cita la rete di basi militari in Sicilia (Sigonella, Augusta, Trapani, Catania) che verrebbero così collegate via terra alla base di Napoli. È un tentativo politico, certo, ma anche contabile: gonfiare le spese per la difesa attraverso un’infrastruttura civile. Il problema? La Nato potrebbe non accontentarsi di questi escamotage.

Le reazioni sono dure. Angelo Bonelli (Verdi) parla di “follia”, mentre Annalisa Corrado (Pd) ironizza: “Immaginano che serva alla Nato per far passare truppe di terra? Sembra una scena di Ficarra e Picone”. Agostino Santillo (M5s) accusa Salvini di incoerenza: “Critica il piano di riarmo europeo, ma poi vuole far passare il Ponte come opera militare per salvarla dalle critiche”.

La polemica si sposta anche sul fronte delle spese collaterali, tra botta e risposta, accuse e smentite. Da più parti, infatti, c’è chi fa notare come la società Stretto di Messina Spa, rianimata dal governo Meloni, abbia pagato, nel 2024, nove milioni di euro di stipendi, quadruplicati rispetto all’anno precedente. La società replica dicendo che è partita nel giugno del 2023, e il costo del personale per quell’anno era dunque dimezzato. Per il resto, “il compenso del Cda, Presidente e amministratore delegato sono stati fissati entro i limiti di legge”, però, con deroga per “due dirigenti di alto profilo”. “L’organizzazione prevista - conclude la nota - è assolutamente in linea con standard internazionali per società di progetto internazionali con progetti analoghi".

La Sicilia, intanto, ha già deciso di destinare 1,3 miliardi di euro di fondi di Sviluppo e Coesione al Ponte. Risorse nate per ridurre il divario infrastrutturale del Sud, che ora rischiano di essere utilizzate per un’opera a vocazione strategico-militare. Una scelta che apre un nuovo fronte politico e solleva domande: in una terra che attende scuole, ospedali, strade, si può davvero puntare tutto su un’unica grande opera?
A proposito, ma i lavori quando partono? Ecco, Matteo Salvini ha risposto, in Parlamento, che il progetto del ponte sullo Stretto di Messina «approderà presto al Cipess e nel rispetto degli standard previsti». Il Cipess è il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, e la sua approvazione è l’ultimo passaggio indispensabile in vista dell’apertura dei cantieri. Il Ministro leghista è stato però generico. Non ha voluto dare una data precisa. Ha detto solo: presto. Un deciso cambio di strategia rispetto alle avventate dichiarazioni precedenti, quando, con grande enfasi, aveva annunciato l’avvio dei cantieri prima entro l’estate del 2024, e poi entro Dicembre. Com’è andata a finire si sa.
E intanto giovedì scorso l’amministratore delegato della società “Stretto di Messina”, Pietro Ciucci, ha ammesso che l’apertura dei cantieri slitterà alla seconda metà del 2025. E si tratterà solo delle opere complementari: rampe, strade, raccordi richiesti dai comuni. Non del ponte vero e proprio.
Dietro ai ritardi, ancora una volta, ci sono vincoli ambientali e questioni procedurali. Già nell’aprile del 2023 la commissione Via/Vas (Valutazione di Impatto Ambientale e Strategica) aveva richiesto integrazioni sostanziali al progetto: mancavano analisi sui costi/benefici, rischi sismici, effetti sull’ecosistema, biodiversità, inquinamento acustico e campi elettromagnetici.

Dopo le risposte della società, il progetto è stato approvato a novembre 2023, ma con pesanti prescrizioni, soprattutto per tre siti protetti europei che verrebbero impattati. Il governo italiano ha presentato delle misure di compensazione ambientale al ministero dell’Ambiente, ma la comunicazione ufficiale alla Commissione Europea non è ancora stata inviata.

Ed è proprio su questo punto che il nodo resta irrisolto: l’Europa dovrà solo essere informata, oppure dovrà esprimersi con una formale autorizzazione? Nel secondo caso, i tempi si allungherebbero ancora, con ulteriore incertezza sull’avvio dell’opera.
Anche se il Cipess dovesse approvare il progetto entro aprile o maggio, la delibera dovrà poi passare al vaglio della Ragioneria dello Stato e della Corte dei Conti, prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. In media, servono due mesi perché una delibera Cipess diventi effettiva. Tutto ciò rende improbabile – se non impossibile – un avvio dei lavori entro il 2024, come promesso in origine.

In attesa del parere del Cipess e dell’avvio reale dei cantieri, il Ponte sullo Stretto resta il simbolo di un’Italia che gioca a Risiko con l’Europa. Un’opera che da decenni divide l’opinione pubblica e che ora, più che unire la Sicilia alla Calabria, unisce difesa, propaganda e promesse.



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