Nicola Clemenza, imprenditore ed ex presidente di un’associazione antiracket, è tra gli indagati nell’ultima operazione antimafia che ha colpito il mandamento di Partanna, nel cuore della Valle del Belice.
Come raccontato da Tp24, l’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dai Carabinieri del ROS, ha svelato una fitta rete di interessi e relazioni che coinvolgerebbero soggetti ritenuti vicini a Cosa nostra nel Belice. Tra questi, oltre a volti storici e “giovani leve” del mandamento di Partanna, figura anche Clemenza.
Secondo gli inquirenti, l’imprenditore avrebbe avuto contatti e rapporti frequenti con uomini ritenuti appartenenti o vicini all’organizzazione mafiosa. Un legame che, se confermato, assumerebbe un peso specifico ancora più rilevante proprio per il ruolo pubblico e simbolico che Clemenza ha ricoperto negli ultimi anni.
Da testimone di giustizia a indagato: l’amara parabola
Clemenza eè noto come “l’imprenditore che ha detto no al pizzo”. Aveva denunciato, si era costituito parte civile in alcuni processi, aveva presieduto un’associazione antiracket locale e partecipato a iniziative con prefetti, magistrati, forze dell’ordine.
Eppure oggi, nell'ordinanza che ha portato all’operazione antimafia, il suo nome compare tra gli indagati. I magistrati gli contestano rapporti e frequentazioni incoerenti con la figura che pubblicamente rivestiva. Rapporti con soggetti legati a famiglie mafiose storiche della zona, contatti ritenuti “non occasionali”, che fanno vacillare l’intera narrazione di cui era diventato protagonista.
Uno degli episodi contestati ruota attorno a un macchinario agricolo – una crivellatrice per la lavorazione delle olive – sequestrata e poi confiscata nel procedimento per misure di prevenzione a carico del noto Antonino Moceri. Un bene finito sotto la gestione di due figure: l’amministratore giudiziario Maurizio Lipani e il suo coadiutore Nicola Clemenza.
Secondo quanto emerso dalle indagini, Clemenza avrebbe distratto il macchinario dal patrimonio sotto sequestro, consegnandolo di fatto all’imprenditore Gaspare D’Angelo – ritenuto in contatto con ambienti mafiosi – affinché lo utilizzasse senza oneri. Un fatto contestato come peculato, con l’aggravante dell’agevolazione a Cosa nostra.
Ma la storia non finisce qui. Quando Clemenza si accorge che la crivellatrice non è più nella disponibilità di D’Angelo – forse ceduta o inutilizzabile – si attiva per coprire le proprie responsabilità. In particolare, secondo la ricostruzione della DDA, chiede l’aiuto di Giuseppe La Rocca e di un altro soggetto identificato come Zibella, affinché si trovasse un modo per restituire un macchinario simile o occultare la distrazione del bene.
“Le indagini hanno inequivocabilmente dimostrato – si legge nel provvedimento – che Clemenza si è avvalso degli illeciti interventi di La Rocca e Zibella per evitare la contestazione della cessione del bene all’imprenditore D’Angelo”.