E’ ormai definitiva la condanna subita, con patteggiamento, dal 56enne imprenditore marsalese Pietro Amato per “omesso versamento delle ritenute operate alla fonte relative agli emolumenti erogati dovute in base alla dichiarazione modello 770/2019, per un ammontare pari a Euro 531.279,96”.
Avverso la sentenza, emessa lo scorso anno dal gip del tribunale di Marsala, aveva fatto ricorso il procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, che evidentemente ha ritenuto non congrua (troppo mite?) la pena concordata tra le parti: otto mesi di reclusione, sostituita con la pena pecuniaria di 6000 euro di multa. Sulla decisione si è pronunciata la terza sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Giovanni Liberati), che ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla confisca e rinviato per un nuovo giudizio sul punto al Gip del Tribunale di Marsala, dichiarando inammissibile nel resto il ricorso. La pena patteggiata, insomma, è definitiva, ma bisogna affrontare la questione della confisca di somme ad Amato.
Al riguardo, infatti, il procuratore presso la Corte d’appello di Palermo ha rappresentato che la sentenza del gip di Marsala “non faceva menzione dell'integrale pagamento degli importi dovuti, risultando anzi tale ipotesi esclusa dall' ‘esame degli atti processuali’; benché non fosse stato disposto il sequestro, il Gip era comunque obbligato a individuare i beni costituenti prezzo o profitto del reato ovvero, in caso di impossibilità, disporre la confisca per equivalente; la consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene che la sentenza di patteggiamento che ometta di disporre la confisca ex art. 12- bis d.lgs. n. 74/2000 integra una violazione di legge che consente al pubblico ministero di esperire il ricorso per cassazione”. E sul punto, per la Suprema Corte, “il ricorso è fondato”, seppure con una serie di limiti che vengono dettagliatamente individuati e descritti.