×
 
 
22/05/2025 06:00:00

“Scrigno”, le motivazioni della sentenza d’appello: Ruggirello era il “referente politico” di Cosa Nostra

Politici che compravano voti con denaro e generi alimentari. Candidature sostenute da boss. Deputati regionali che si rivolgevano a mafiosi per risolvere problemi personali e costruire consenso. È la fotografia del sistema criminale trapanese descritta nelle motivazioni della sentenza d’appello del processo Scrigno, con cui la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la gran parte delle condanne emesse in primo grado, a partire dai 12 anni inflitti a Paolo Ruggirello, ex deputato regionale ed esponente del Partito Democratico, per concorso esterno in associazione mafiosa.

Una sentenza che non solo conferma, ma approfondisce ulteriormente il quadro già emerso con la storica inchiesta condotta dai Carabinieri nel 2019, che ha disvelato le trame fitte tra la politica e Cosa Nostra nel territorio di Trapani.

Ruggirello, il politico della mafia

Per i giudici, Paolo Ruggirello ha svolto il ruolo di “referente politico” di Cosa Nostra in provincia di Trapani. Le motivazioni parlano di una “disponibilità stabile, consapevole e reiterata” verso le famiglie mafiose locali, da quella dei fratelli Virga a Francesco Orlando e Carmelo Salerno. Un rapporto definito da una sorta di affectio societatis: un legame continuo e funzionale, che pur senza adesione formale all’associazione, ha prodotto vantaggi concreti e reciproci.

Secondo la Corte, Ruggirello non si è limitato a subire l’influenza mafiosa, ma ha cercato attivamente il sostegno dei clan per consolidare la sua posizione politica. In cambio, ha garantito tutela degli interessi della mafia nel mondo istituzionale.

Emblematico l’episodio in cui Ruggirello chiese a Carmelo Salerno di “intervenire” per risolvere una questione personale, legata a una relazione extraconiugale: un problema da affrontare, secondo lui, attraverso la mediazione dei boss. Una dimostrazione – secondo la Corte – della naturalezza con cui l’ex deputato si relazionava con l’ambiente mafioso.

La Procura voleva di più, ma la Corte ha tenuto il punto

La Procura Generale aveva chiesto una riforma in pejus della sentenza, puntando al riconoscimento della piena partecipazione all’associazione mafiosa (416 bis). Ma la Corte ha rigettato l’appello, mantenendo la qualificazione in concorso esterno e la pena di 12 anni. Una condanna comunque pesante, che certifica la gravità del ruolo politico-mafioso di Ruggirello.

Mannina, voti in cambio di pacchi alimentari

Tra i casi più significativi c’è quello di Vito Mannina, condannato a 1 anno e 8 mesi per corruzione elettorale. Le motivazioni d’appello rivelano un dettaglio: Mannina, secondo la Corte, ha promesso e in parte offerto denaro e generi alimentari a Pietro Cusenza, per ottenere voti a favore della figlia Simona, candidata alle amministrative. Soldi in cambio di preferenze.

La Corte definisce non credibili le spiegazioni difensive di Mannina, secondo cui il denaro era destinato a “spese personali” di Cusenza. Le intercettazioni, però, parlano chiaro: la finalità era puramente elettorale, a vantaggio della figlia Simona. Un passaggio chiave della sentenza chiarisce che l’attività di Mannina fu svolta con piena consapevolezza, allo scopo di “comprare” elettori.

Manuguerra, condanna confermata

Condanna confermata anche per Alessandro Manuguerra, altro esponente politico coinvolto nel processo, riconosciuto colpevole di corruzione elettorale e condannato a 1 anno di reclusione. Anche in questo caso, la Procura chiedeva una riqualificazione per il più grave reato di voto di scambio politico-mafioso (416 ter), ma la Corte ha ritenuto non dimostrata la coazione mafiosa come metodo di intimidazione.

La stessa valutazione è stata fatta per Mannina: seppure entrambi abbiano cercato voti tramite referenti mafiosi, non è emersa prova sufficiente del metodo mafioso necessario per qualificare il reato ai sensi del 416 ter.

Gucciardi, il reato riqualificato

Una novità rilevante riguarda Vito Gucciardi, inizialmente condannato per associazione mafiosa. La Corte d’Appello ha riqualificato il reato in favoreggiamento aggravato, ritenendo che il suo comportamento non fosse tale da giustificare una condanna ai sensi del 416 bis. Gucciardi era stato già detenuto a lungo in via cautelare e, con la nuova qualificazione, è stato scarcerato immediatamente.

La mafia di Trapani: un sistema armato e imprenditoriale

Le motivazioni offrono anche un quadro dettagliato della consorteria mafiosa trapanese, guidata da Vincenzo Virga e poi dai figli Francesco e Pietro. Un’organizzazione descritta come “armata”, dotata di capacità intimidatoria e tentacoli economici, soprattutto nei settori dei rifiuti, del calcestruzzo e degli appalti pubblici. Una mafia che non ha mai smesso di esercitare il suo potere sul territorio, e che anzi si è evoluta in chiave imprenditoriale, mantenendo forti legami con la politica locale.

Un patto scellerato tra mafia e politica

In conclusione, la sentenza Scrigno conferma la strutturalità del rapporto tra politica e mafia a Trapani. Non si trattava di infiltrazioni sporadiche, ma di patti stabili, fondati su interessi reciproci: voti in cambio di protezione, consenso in cambio di accesso al potere. Una dinamica che ha compromesso la democrazia, piegando le istituzioni agli interessi criminali.

Una sentenza che chiude un capitolo giudiziario importante, ma che lascia aperte molte domande sul presente e sul futuro di una terra in cui, troppo spesso, la politica ha scelto di non essere alternativa alla mafia.