In un’Italia alle prese con una crisi cronica di manodopera, in particolare nel comparto della ristorazione, le attuali normative sull'immigrazione rischiano di diventare un freno insostenibile per la ripresa economica e lo sviluppo delle imprese. A lanciare un grido d’allarme è Tonino Bua, imprenditore con solide radici nella ristorazione turistica e collettiva, che dal suo osservatorio a San Vito Lo Capo denuncia una situazione divenuta ormai paradossale.
«Riceviamo costantemente richieste da giovani argentini: motivati, preparati, desiderosi di venire in Italia per lavorare. Eppure non possiamo assumerli», spiega Bua. Il nodo, secondo l’imprenditore, è da ricercare nelle regole attualmente in vigore per il decreto flussi: «Per ottenere un permesso di soggiorno per lavoro subordinato è richiesto che il candidato abbia già parenti residenti in Italia. Una condizione incomprensibile, che taglia fuori migliaia di potenziali lavoratori pronti a contribuire in settori dove la domanda di personale è altissima.»
Una realtà che stride con le accuse spesso rivolte al mondo imprenditoriale. Bua respinge con decisione l’idea che la difficoltà di reperire manodopera sia legata alla scarsa qualità delle offerte: «I nostri contratti sono regolari, gli stipendi in linea con il mercato. Il vero problema è l’indisponibilità effettiva di lavoratori italiani a impegnarsi in determinati ambiti, specie nei turni serali, nei fine settimana o durante l’alta stagione estiva.»
Per l’imprenditore siciliano, la questione non è solo economica, ma profondamente strategica: «Non si tratta solo di occupazione. È in gioco la tenuta del turismo, una delle colonne portanti del nostro PIL. Le aziende sono pronte a creare valore e occupazione, ma lo Stato deve metterle nelle condizioni di farlo. Oggi ci troviamo ostacolati da una normativa anacronistica, che non risponde alle esigenze reali del mercato.»
Da qui l'appello: «Serve un nuovo decreto flussi che guardi alla realtà, che semplifichi le procedure e permetta l’ingresso di lavoratori stranieri qualificati anche se privi di familiari in Italia. Non possiamo più permetterci vincoli burocratici scollegati dalla vita vera.»
Bua conclude con una riflessione dal forte impatto civile e sociale: «Fare impresa, oggi, significa anche prendersi cura del territorio e offrire opportunità. Ma senza strumenti normativi adeguati, le nostre mani restano legate. E a pagarne il prezzo non siamo solo noi imprenditori, ma l’intero Paese.»