A Mazara in occasione della manifestazioni Tesori dal Blu, organizzata dal Masaf e dal Comune di Mazara, la deputata regionale del M5S Cristina Ciminissimi ha vissuto un momento spiacevole.
Il suo posto riservato al pari di altri deputati regionali è stato, magari per svista, etichettato solamente con il suo nome e cognome e non con l’appellattivo “On.”, titolo riservato invece ai colleghi uomini.
La questione non è legata certamente al partito, dunque non è una questione di “parte” o ideologica, semplicemente è una questione culturale.
Quello scivolone, errore di leggerezza(chi doveva controllare non ha controllato) racconta benissimo la fotografia del tempo moderno, di quel 2025 in cui ancora le donne devono rivendicare il proprio ruolo, perché non riconosciuto spontaneamente.
E’ un ostacolo quotidiano fatto da barriere culturali e il problema non risiede più nella mancanza di diritti, ma in una realtà più sottile e radicata: quella delle resistenze profonde al cambiamento. E basta dare uno sguardo a ciò che accade ogni giorno per comprendere che la società di oggi continua a vedere le donne sottorappresentate nei luoghi decisionali. Regnano i pregiudizi: leadership, autorevolezza e decisione sono ad appannaggio degli uomini. Se le donne maneggiano potere e lo fanno anche bene vengono spesso percepite in modo negativo: aggressive, fredde, non empatiche. E’ una retorica che ha stancato, ed è per questo che le donne devono imparare a fare squadra. Perché uno dei problemi è pure questo.
Le parole della deputata
“Stamattina (venerdì per chi legge) a Mazara del Vallo ho partecipato al convegno “Migliorare l’approvvigionamento ittico nel Mediterraneo”, organizzato nell’ambito del Festival Tesori del Blu, in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste. Un’occasione importante per discutere di sviluppo sostenibile, economia del mare e futuro del Mediterraneo. Ma c’è un dettaglio che merita una riflessione. Arrivando, ho trovato i posti assegnati agli ospiti invitati. Accanto ai nomi dei miei colleghi parlamentari uomini, il titolo “Onorevole”. Accanto al mio nome, nulla. Nessun titolo, nessun riconoscimento del ruolo istituzionale che rivesto, come unica donna deputata della provincia di Trapani. Sembra un dettaglio. Ma non lo è. Non è un errore di stampa, è forma che è anche sostanza. È un riflesso culturale. Una sottile, costante rimozione del ruolo delle donne nei luoghi del potere. Perché una donna in politica è una nota a piè pagina in un mondo scritto da uomini per uomini. E l’onore, evidentemente, resta privilegio maschile: a loro spetta il titolo, alle donne l’invisibilità onorata. Sono in un gruppo parlamentare, il M5S, composto da 6 uomini e 5 donne, quindi in un partito che dà pari spazio alle donne, e a noi non è mai importato essere chiamati/e “onorevole”. Ma la realtà dentro e fuori le istituzioni è questa: un modo di dire, senza dirlo apertamente, che il tuo spazio è tollerato, non pienamente riconosciuto anche quando ricopri un incarico pubblico, anche quando rappresenti le istituzioni della Repubblica. In quel "Cristina Ciminnisi", senza On., c’è tutta la fatica di una donna che deve guadagnarsi due volte ciò che a un uomo basta incarnare. C’è la cultura che le dice: sei accettata, ma senza disturbare. Siediti pure, ma non alzare la voce e, soprattutto, la testa. Non si tratta di vanità personale, né di “formalità”. Si tratta di ciò che queste formalità rappresentano: il rispetto dovuto alle istituzioni e a chi, a pieno titolo, ne fa parte. Uomo o donna che sia. Ma non parlo per me. Parlo per tutte le donne, parlo per il significato che questi gesti portano con sé, perché se ancora oggi, nel 2025, una donna che siede in Parlamento deve ricordare che il suo ruolo merita lo stesso rispetto di quello dei suoi colleghi uomini, allora abbiamo ancora tanta strada da fare.
Cristina Ciminnisi, Portavoce M5S, Deputata Regionale e, se non vi dispiace, “Onorevole” al pari di un uomo”.
Donne e potere
Il vero nodo da sciogliere è culturale, l’esercizio di ruoli di potere non è una concessione temporanea e soprattutto è sul campo che le donne, ogni santo giorno, guadagno terreno. Serve un cambiamento profondo nella narrazione del potere, che non deve più essere associato al dominio, ma alla responsabilità condivisa, all’ascolto, alla visione a lungo termine. E le donne non devono essere costrette ad adattarsi a modelli maschili di leadership, ma devono poter riscrivere le regole del gioco. Troppo spesso, se non nascondono la propria femminilità ma la rivendicano, vengono pure giudicate male. Altro retaggio. E’ tempo che si sappia che il riconoscimento del potere femminile non può più essere un’eccezione né una concessione. È una questione di efficienza democratica e di progresso collettivo.