A Castelvetrano l’immagine di una persona ripresa mentre sale su una macchina parcheggiata davanti un’officina e scappa, facendo cadere a terra il titolare dell’officina che aveva provato a fermarla, è finita sui social. Dopo poco tempo, è stata pubblicata un’altra immagine della stessa persona tra i tavoli di un bar ed un’altra ancora mentre parla al telefono a Palermo.
Certo, pubblicare sui social le foto di un presunto ladro o di un borseggiatore può sembrare una reazione naturale, soprattutto quando si è vittima di un furto e si è animati da rabbia, frustrazione o desiderio di giustizia. Ma non è mai una buona idea. Non solo per chi la pubblica per la prima volta sul web, ma anche per tutti coloro che la condividono.
Le ragioni cono giuridiche, etiche e pratiche.
La legge tutela l’immagine e la reputazione delle persone. Tutte le persone. Anche quelle che hanno commesso un reato. È per questo che pubblicare (o condividere) la loro foto sui social può comportare gravi conseguenze legali, come essere denunciati per diffamazione aggravata, violazione della privacy (nel caso la persona sia identificabile), o per trattamento illecito di dati personali.
Si dirà, ma come, questo ruba e vengo denunciato io? In che razza di Paese viviamo? Ecco, viviamo in un paese dove ci sono delle regole. E se quelli che vogliamo sbattere sui social non li rispettano, non vuol dire che non dobbiamo rispettarle nemmeno noi.
C’è poi un altro rischio: quello di incoraggiare forme di giustizia sommaria. Quasi sempre, la pubblicazione di queste immagini sui social dà la stura a commenti violenti, insulti, minacce, incitamento all’odio… Quante volte ci è capitato di leggere commenti del tipo spero solo di non trovarmelo davanti mentre sono in macchina, datelo a me, che gli faccio passare la voglia di rubare, è arrivato il momento di unirci, trovarlo a dargli una bella lezione?
Ecco, se rubare un’auto, un portafogli o uno smartphone sono comportamenti criminali, la creazione di tribunali popolari “alternativi” non è certo una risposta di legalità che favorisce il corretto funzionamento della giustizia.
Inoltre, a causa delle immagini non sempre chiare, si può mettere in pericolo anche chi viene riconosciuto erroneamente. Non è la prima volta che dalla confusa foto estrapolata da un video di sorveglianza, qualcuno riconosca un tizio presente sui social e pubblichi la foto del suo profilo. Salvo poi emergere che si trattava soltanto di una somiglianza. Ma è troppo tardi, perché grazie alle condivisioni l’immagine è diventata virale.
La convinzione ancora diffusa è che condividendo la foto del presunto ladro, le forze dell’ordine potranno catturarlo più facilmente. Ma non è affatto vero. Anche il ladro, viste le numerose condivisioni, potrebbe accorgersi della sua foto sui social e magari mettersi un berretto e degli occhiali da sole, una barba finta, tingersi i capelli…
Ecco perché la scelta di condividere la sua immagine non ha nessuna utilità pratica reale, non garantisce giustizia e non aumenta le probabilità di cattura. Anzi, il rischio è quello di compromettere l’indagine in corso o ostacolare l’identificazione da parte delle forze dell’ordine.
Allora che fare?
Se si è testimoni o vittime di un reato, la strada corretta è: denunciare alle forze dell’ordine, alle quali consegnare eventuali immagini o video, evitando ogni tipo di pubblicazione o condivisione pubblica non autorizzata. Pubblicare la foto di un presunto ladro sui social quindi non è solo ingiusto e potenzialmente illegale, ma può avere effetti dannosi per tutti: per la persona accusata, per chi pubblica, per l’efficacia delle indagini e per la tenuta della civiltà giuridica.
La rabbia è comprensibile, ma la giustizia non si fa con i post virali.
Egidio Morici