Quello organizzato a Castelvetrano, nel mese di maggio, a opera dell’Associazione SenzaNome, è prima di tutto – e senza dubbio – un Festival della Fotografia. Più precisamente, un Festival della Fotografia Sociale. Il cui nome, “NonSonoCosa”, richiama già un preciso rifiuto per ogni pretenziosità, un rifiuto necessario quando si prova a raccontare una storia comune. Nell’arco di trentuno giorni, Castelvetrano ha ospitato così quattro mostre fotografiche, un corso di fotografia (per principianti e non) e tre workshop tecnici, ma è stata anche il setting di tre uscite fotografiche per un nutrito gruppo di fotoamatori.
E non solo. Il Festival infatti ha portato in paese due giovani ma già affermati talenti della fotografia documentaria, cioè Camilla Miliani e Mattia Crocetti – entrambi toscani, entrambi con una carriera già consolidata come foto reporter per testate tra cui Repubblica, Internazionale e National Geographic. Le loro fotografie sono state esposte in due mostre parellele: ChangeMaker, di Camilla Miliani, in piazza Principe di Piemonte; e X_Town, di Mattia Crocetti, nei locali di XeniaHome, lo spazio espositivo curato da Giancarlo Filardo, e che ospita in forma permanente le opere della pittrice castelvetranese Lia Calamia.
Leitmotiv delle mostre è stato appunto l’aspetto sociale della fotografia. Fotografia che diventa non semplice finestra sul mondo, ma finestra su un angolo preciso di mondo: quello sconosciuto, dimenticato, certamente poco pop, ma la cui conoscenza ci aiuta a capire meglio cosa siamo come individui ma pure come società. È il caso, per esempio, dell’attivismo civico dell’Agrigentino e delle lotte contro la cattiva gestione dell’acqua, protagonista di un racconto fotografico di Camilla Miliani per ActionAid Italia, fruibile nella mostra ChangeMaker. Ma anche dell’agglomerato industriale di Augusta, in provincia di Siracusa, di cui Mattia Crocetti ha saputo cogliere il contrasto disturbante generato dall’intrusione dell’industria nell’ecosistema marino, riportato magistralmente nel progetto X_Town.
Tutte storie poco pop, eppure necessarie per la costruzione di una narrazione globale, di comunità. Un po’ come la storia di questo piccolo festival di provincia che, a uno sguardo poco attento, potrebbe apparire come un’iniziativa nata puramente per combattere la noia, e che invece nasconde molto altro. Perché, nell’arco di un intero mese, a Castelvetrano la fotografia è stata un momento autenticamente sociale, pensato per la comunità e per creare comunità. Un obiettivo, questo, che l’Associazione SenzaNome (che oltre alla pretenziosità rifiuta pure qualsiasi autoreferenzialità, non volendosi dare un nome, in un posto dove si organizzano attività culturali spesso proprio per costruirselo, un nome) ha centrato in pieno.
Non sarà un caso, allora, se per una delle quattro mostre è stato scelto come spazio espositivo proprio Cusà, un locale del centro storico castelvetranese che ha dato il la alla “rinascita” della movida paesana. Perché quello che SenzaNome ha voluto mettere in piedi è stato, sì, prima di tutto un Festival della Fotografia. Ma è stato anche un pretesto per creare momenti di incontro, per contaminarsi, per condividere storie e passioni. Momenti di incontro anche tra generazioni diverse, come è accaduto con la mostra Portal, tenuta alla Collegiata dei Santi Pietro e Paolo (o Urban Center, il vecchio sogno di gloria dell’Amministrazione Errante, e per quasi un decennio in disuso): lì, nell’antica chiesetta al primo piano di Palazzo Pignatelli, le foto di Giuseppe De Pasquale – oggi quasi novantenne – hanno raccontato la Selinunte degli anni del boom economico intervallandosi con gli scatti di giovani fotografi castelvetranesi, realizzati con una macchina fotografica usa e getta passata di mano in mano per le vie del paese.
Il vero successo dell’Associazione SenzaNome è stato, allora, esattamente questo: aver creato nuovi spazi di aggregazione, in un posto come Castelvetrano dove – se escludiamo le attività commerciali – luoghi del genere invece scarseggiano. E lo scarto che ne è seguito si è reso subito evidente: la stessa Collegiata/Urban Center, rimasta per anni chiusa al pubblico, è tornata – per un mese almeno – viva, vibrante, teatro animato di dialogo e confronto. Un risultato che va condiviso con l’attuale amministrazione comunale, e in particolare con il sindaco Giovanni Lentini che, non solo si è prestato come soggetto di uno dei ritratti fotografici sviluppati in uno dei workshop (questo ritratto fotografico, “Castelvetrano è una città APERTA”), ma ha anche saputo riconoscere l’importanza di spazi di aggregazione puri, quindi non per forza legati ad attività commerciali, e li ha messi a disposizione dell’intera comunità.
La rivista indipendente Scomodo, che è tra l’altro promotrice del progetto fotografico X_Town di Mattia Crocetti, ha di recente dedicato numerosi approfondimenti sugli spazi di aggregazione. Come si legge in uno degli editoriali, secondo il Consiglio Nazionale Giovani la partecipazione sociale, che si concretizza nella presenza di luoghi destinati a questo scopo, è una delle variabili fondamentali per misurare il benessere mentale dei giovani. Mentre l’Istituto Superiore di Sanità, insieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha dimostrato come l’assenza di spazi per socializzare impatti negativamente sullo sviluppo neuropsicologico di bambini e adolescenti.
Durante l’ultimo workshop del festival Non sono cosa, circa venti persone si sono ritrovate attorno al tavolo ovale dell’Urban Center, e hanno scritto su un grande cartellone bianco le parole che meglio potevano descrivere la loro esperienza a Castelvetrano, come abitanti e parte della comunità. Poche le parole negative (immobilismo, desolazione, muri), moltissime invece quelle positive e piene di entusiasmo. Castelvetrano è stata descritta come sinonimo di comunità, condivisione, casa, accettazione.
Certo non sappiamo se questo sentimento fosse già presente tra i partecipanti; ma è indubbio che avere avuto occasione di incontrarsi, parlarsi e conoscersi ha sicuramente alimentato un nuovo ottimismo. Segno che SenzaNome sta davvero percorrendo la strada giusta.
Per sapere di più sulle iniziative di SenzaNome, c’è una pagina su Instagram: senzano.me.
Daria Costanzo