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25/12/2025 06:00:00

Da Tiro a Mozia: quando la guerra colpisce una storia che arriva fino a Marsala

Dalla Fenicia al Mediterraneo occidentale corre un filo invisibile che unisce Tiro, Motya e Marsala. È una continuità culturale millenaria che oggi torna sotto minaccia.

Motya, fondata dai tirii nel VII secolo a.C. sull’isolotto dello Stagnone, fu un porto strategico e un crocevia tra Mediterraneo orientale e occidentale. Quando nel 397 a.C. Dionisio I di Siracusa la assediò e la distrusse, la città scomparve in poche settimane. I superstiti fuggirono sulla costa, dando impulso a Lilybaeum, l’odierna Marsala, destinata a raccoglierne l’eredità umana, culturale e strategica. Motya rimase come monito: la violenza per il possesso può cancellare una città.

 

Oggi, mentre i raid colpiscono il Libano meridionale, quella ferita antica sembra riaprirsi. A essere messi in pericolo non sono soltanto le vite dei civili, ma anche una memoria condivisa che attraversa il Mediterraneo e arriva fino alla Sicilia occidentale. Una memoria che si intreccia con l’attualità di un conflitto che continua a produrre vittime e spostamenti forzati di popolazioni, come accade da decenni nella Striscia di Gaza e, più recentemente, in Cisgiordania.

Tiro e Motya sono figlie della stessa civiltà fenicia. Quando i navigatori salparono dal grande porto del Levante per fondare l’avamposto siciliano, non trasportarono soltanto merci e tecniche di navigazione: portarono lingua, culti, saperi, una visione del mondo. Motya divenne così una “figlia storica” di Tiro; ogni sua pietra conserva ancora oggi il segno di quel legame.

 

Nei secoli successivi Motya prosperò, protetta da mura e torri, al centro di una fitta rete commerciale che includeva grano, tessuti in porpora, ceramiche e manufatti di lusso, in collegamento con Cartagine e con le grandi rotte mediterranee. La sua fine improvvisa e totale è la lezione che la storia consegna al presente.

Tiro, sorella maggiore, ha invece attraversato le epoche: fenicia, romana, bizantina, islamica. È rimasta porto vitale e centro culturale, custode di siti archeologici riconosciuti dall’UNESCO, come l’area di al-Bass con necropoli monumentali e un imponente ippodromo romano. Ma oggi anche Tiro rischia una sorte che la storia conosce bene. I bombardamenti e i raid aerei hanno colpito la città e le aree circostanti, avvicinandosi a zone di straordinario valore archeologico e mettendo a rischio un patrimonio che appartiene all’umanità intera.

 

Il parallelismo è drammatico. Motya insegna che una città fiorente può essere cancellata in poche ore di violenza. Tiro ricorda che una città millenaria, ancora viva, può trovarsi improvvisamente sulla soglia della stessa sorte. A differenza del IV secolo a.C., oggi esistono strumenti, consapevolezze e responsabilità per intervenire: proteggere le persone, salvaguardare i luoghi, difendere la continuità culturale.

La discendenza fenicia che unisce Tiro, Motya e Marsala non è solo genealogica: è storica, simbolica, mediterranea. È l’eredità di una civiltà che ha costruito ponti tra mondi diversi, lasciando tracce profonde sulle sponde del mare comune.

Colpire Tiro oggi significa colpire anche una storia che ci riguarda. Motya resta il monito silenzioso di ciò che accade quando la violenza cancella una città. Tiro è l’avvertimento vivente che quella storia può ripetersi. Proteggere Tiro – e Gaza e la Cisgiordania – significa scegliere di non ripetere Motya. Significa difendere una continuità millenaria che attraversa il Mediterraneo e che, ancora oggi, ci appartiene.

 

Angelo Lo Buglio



Cultura | 2025-12-24 06:00:00
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