Soli a 14 anni, con la faccia tumefatta dopo una lite per una ragazza. Soli, a due settimane di ospedale, con un occhio che non si alzerà più. Soli, stesi sull’asfalto dopo un colpo alla schiena, senza sapere chi li ha colpiti, senza riuscire neanche a parlare.
«Non ero cosciente». Ha poco più di quattordici anni il ragazzo che lo racconta. Camminava. Ha superato un’auto parcheggiata. Poi un colpo secco alle spalle, improvviso. E il mondo si è spento. Si è risvegliato in ospedale, con un braccio contuso e due giorni di ricovero. Ma nessuna targa, nessun verbale. Solo una frase: «chiamiamo i Carabinieri». Ma appena qualcuno lo dice, l’autista scappa. E con lui, tutti gli altri.
È successo a Trapani, dietro piazzale Ilio. Nel parcheggio Atm. Un luogo che, appena cala il sole, cambia volto. Non è più uno spazio urbano. È un’arena. Un campo di battaglia. Motori, musica, risse. E adolescenti senza nessuna protezione.
A Piazzale Ilio la linea tra svago e violenza è diventata troppo sottile. Qui non c’è solo la “movida”. C’è il vuoto. Spazi senza regole, ragazzi senza adulti, città senza reti. Le pattuglie arrivano, i gruppi si dileguano. E poi tornano, pochi minuti dopo. Come se nulla fosse. Casse a tutto volume, fari puntati in faccia, risate sfacciate. I video si moltiplicano sui social. Le denunce no.
Intanto i residenti non dormono. Maria lo dice chiaro: «Trapani ed Erice sono allo sbando». Le sue finestre tremano fino alle tre del mattino. Il parco giochi sotto casa è stato distrutto. Carmela, da poco arrivata in zona, parla di notti «come un martello che batte sul cervello». Francesco chiama il 112 ogni sera. «Ma la risposta è sempre la stessa: nulla». Leonardo, che osserva da anni il degrado crescere, dice che «l’assenza di controllo genera abbandono». Giuseppe si sfoga: «Pensano solo a divertirsi. E se ne fregano di chi lavora o sta male».
C’è chi prova a difendere questi ragazzi. Ezio dice: «Non hanno alternative. Meglio un pallone in piazza che altro». Patrizia aggiunge: «Anche noi siamo stati giovani». Giusto. Ma allora organizziamo qualcosa. Perché il diritto al divertimento non può diventare un’esclusiva che schiaccia tutto il resto. Non è solo una questione di generazioni. È una questione di convivenza.
Perché Trapani, oggi, non urla solo con la musica e i clacson. Urla con la stanchezza di chi ha smesso di crederci. Con il dolore sommesso di chi non ce la fa più. E con l’indifferenza – silenziosa, ostinata – di chi dovrebbe fare qualcosa. Ma non fa nulla.
Se vogliamo davvero cambiare, servono luce vera, spazi sicuri, adulti che tornino a fare gli adulti. Perché nessun quattordicenne dovrebbe più raccontare il buio al posto della notte.