Questo articolo è dedicato alla memoria di Felice Licari
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Sono stato una settimana a Marsala e ho avuto la fortuna di vedere una mostra bellissima all’Ex Convento del Carmine, Piero Guccione e Leonardo Sciascia. Cronaca pittorica di un’amicizia, a cura di Sergio Troisi, visitabile fino a metà ottobre. Mi ha dato l’occasione di sviluppare cinque pensieri sulla città che vi sottopongo. Uno non è breve, quattro sono brevissimi.
Primo
A Marsala la prima cosa che si nota arrivando da fuori (un “fuori” indefinito, potrebbe essere un’altra città siciliana o un altro continente) è la piattezza. Piatto è il suo tracciato cardiaco: lo scarno programma estivo è un collage di sagre di contrada e spettacoli di resistenti artisti del territorio, che cerca di dare un’impressione di vita, ma in realtà è evidentemente solo uno spasmo postmortem. L’unico nuovo film di cui si ha notizia in città (“la quinta della Sicilia”, diceva una nostra antica conoscenza politica) è Lilo & Stitch. E da questa piattezza come ci si salva? Generalmente, ignorandola. Tanto c’è il mare, piatto anch’esso, come una tavola. Ecco, generalmente, arrivando da fuori, ti incazzi. Pensi come sia possibile questa comune anestesia. Perché non sia scoppiato, o sti scoppiando, uno sciopero, una manifestazione, una rivolta. Contro la piattezza.
Nel frattempo, una mostra come quella di Piero Guccione al Carmine mi permette di cambiare idea. Il percorso espositivo comincia, infatti, attribuendo all’opera del pittore di Scicli il concetto di “divina piattezza”: la staticità o, meglio, la tensione dei paesaggi che rappresenta, secondo Leonardo Sciascia, aveva qualcosa di sovrannaturale. La piattezza, puntualizza l’autore del Giorno della civetta nelle pagine di un catalogo del 1973, “non è da intendere nel senso della banalità quotidiana, della svogliante abitudine, dell’accidioso spegnersi del mondo intorno a noi; ma tutt’al contrario: come una fuga dalle sensazioni, e cioè dal tempo, per andare (e restare) oltre. La negazione, insomma, del tempo come ‘ordine misurabile del movimento’ – ed anche del movimento. A vantaggio dell’essere, dell’esistenza”.
Quindi, mi sono detto, avvertendo la distensiva sensazione di un’epifania, non è lassismo, quello di Marsala, non è una piattezza che sa di morte civile, ma una divina piattezza, che rende questo luogo immobile, sì, ma dotato di un fascino incontestabile. Anzi, il vero sciopero, la vera manifestazione, la vera rivolta è questa inamovibilità. Questa tensione che continua a sostenere il quadro, appunto, come i cavi nei paesaggi marini di Guccione. Non per nulla Giuseppe Modica lo aveva definito l’ultimo dei pittori romantici.

Secondo
A questo punto capisco perché un amico nordico, qualche giorno fa, alla stazione di Milano, mi restituiva il suo desiderio di trasferirsi in Sicilia. Io un po’ gli storcevo il naso, avendo già negli occhi la piattezza della mia città. Eppure, adesso capisco che è proprio quella divina piattezza quello che cerca. La negazione del movimento. Quel movimento che lassù, oltre il Po, è una religione che sogna nella Sicilia la sua apostasia.
Terzo
Magari saranno proprio loro, chi arriva da lassù, a occuparsi del nostro Sud. Gli unici che ci tengono davvero. Gli unici che vedono in esso una ragione di vita piuttosto che una ragione di morte. Si potrebbe fare un piccolo gioco: scambiamoci le case per sei mesi. Tutti quelli che stanno al Nord, per sei mesi, vanno a vivere nelle case di quelli che stanno al Sud, e viceversa. Saremmo disposti a questo cambio di prospettiva?

Quarto
C’è tutta una sezione della mostra di Guccione – non smetterò di ripetere quanto sia bella – sul sentimento del paesaggio. Le pietre, nei titoli dell’isolano erede di Caspar David Friedrich, sono sole, sono tristi. Il percorso espositivo si chiude con una grande tela dallo scenario indefinito: a me è piaciuto vederci dentro degli uccelli che reclamano del cibo. Nel quadro, scritto in rosso, si legge: “Oh Vento, se giunge l’inverno può essere la primavera così lontana?”. Me lo chiedo anch’io. Ed è una speranza che mi porto dentro.
Quinto
Uno dei cicli più famosi di Piero Guccione è dedicato agli aerei. In questa mostra ci sono automobili, ma non ci sono aerei. Anche se, in realtà, poteva essere un altro sadico riferimento sciasciano. Infatti, nel suo zibaldone Nero su nero, l’amico racalmutese sosteneva che c’era un rimedio per tutti i problemi della Sicilia. Poi faceva una pausa e dava l’oracolare risposta: l’aereo.
La mostra non ha voluto suggerire questa visione. Ha preferito ricordarci, invece, che la primavera è più vicina di quanto crediamo.
Marco Marino