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14/06/2025 16:30:00

Gentilezza ed empatia, la vera rivoluzione umana parte da scuola e famiglia

In un tempo che premia l’aggressività, Riccardo Pellegrino lancia una sfida radicale: educare alla gentilezza e all’empatia per costruire un nuovo umanesimo. Un’educazione che parte dai piccoli gesti in famiglia, si consolida a scuola e si riflette nella società. Perché la gentilezza non è debolezza, ma forza trasformativa. E chi non la riceve da bambino, rischia di diventare un adulto in lotta con il mondo.

In un tempo in cui si premiano cinismo,arroganza,prepotenza,violenza verbale e non, l’empatia e la gentilezza rischiano di sembrare
fragilità. Serve costruire e coltivare il più possibile comunità gentili ed empatiche. Sarà il primo vero atto educativo, dentro la scuola, nelle famiglie, e in tutte le organizzazioni.

La gentilezza e l’empatia non sono debolezza. Non è buonismo. È ascolto, è rispetto, è cura, è la capacità di comprendere e condividere i sentimenti e le emozioni altrui. "La gentilezza è la forma più radicale di ribellione." Afferma Bell Hooks sociologa e attivista femminista americana.

Questa citazione sottolinea l'importanza della gentilezza come atto di resistenza e di cambiamento sociale.

Perché sono i modi con i quali ci rivolgiamo agli altri, è il tono della voce che scegliamo, è la capacità di non ferire quando potremmo. È saper dire “grazie”, “scusa”, “come stai?” con sincerità e magari con un sorriso. È presenza, è attenzione, è umanità.

Eppure, oggi, ci siamo abituati all’opposto. In molte famiglie si è smesso di insegnare la gentilezza e la capacità di essere empatici. Nella scuola, si parla tanto di competenze e valutazioni, ma troppo poco di relazioni. E allora accade che si tolleri l’insulto, si accetti l’arroganza, si premi la prepotenza, perché “nella vita bisogna farsi valere”. Come se la gentilezza fosse un ostacolo, invece che una forza educativa.

Ma educare alla gentilezza non è una debolezza: è un atto di cura profonda, soprattutto verso chi, crescendo, non ha ancora imparato a gestire le proprie emozioni. Un adoloscente che non è educato alla gentilezza non imparerà mai davvero a stare con gli altri. Ecco perché essere gentili ed empatici è, prima di tutto, una responsabilità degli adulti e degli insegnanti.

La famiglia è il primo luogo in cui si impara (o non si impara) la gentilezza. Non servono grandi discorsi. Bastano i piccoli gesti: uno sguardo, un tono pacato, una parola detta con delicatezza anche quando si è stanchi o arrabbiati. Perché il genitore che urla sempre, che comanda senza dialogare, cupo nel volto, non sta formando un bambino forte, ma un bambino spaventato. E un bambino spaventato sarà un adulto insicuro e propenso quasi sempre al conflitto e all’insofferenza verso tutto e tutti.

Lo stesso vale per la scuola. Una scuola che ignora la gentilezza e l’empatia, è una scuola che rischia di diventare fredda, tecnica, disumanizzante, non armonica. E invece, educare è molto più che insegnare nozioni. È aiutare un ragazzo a diventare consapevole degli altri, a cooperare, a non ridere del dolore altrui, a saper chiedere scusa, a saper accogliere. Il vero successo educativo non è un ragazzo perfetto nei voti, ma un ragazzo che sa prendersi cura.

Penso che le persone gentili ed empatiche siano persone migliori. Uno che sbraita, che urla, non dà il meglio di sé. Ed io nel mio quotidiano lavoro di mediatore civile e familiare “riconosco” chi purtroppo non si è nutrito di gentilezza. Soggetti quasi sempre proattivi verso la distruzione delle relazioni piuttosto che alla costruzione dei rapporti.

Ecco il punto: la vera intelligenza non ha bisogno di ferire e di offendere, di demolire. La vera forza non si impone, ma si offre. Le persone più capaci non sono quelle che distruggono, ma quelle che costruiscono, ogni giorno, nelle parole, nei gesti, nelle relazioni.

Abbiamo bisogno di gentilezza, di sorrisi, di abbracci. Non quelli di facciata,ma quella radicati nella consapevolezza che ogni essere umano merita rispetto, ascolto, attenzione. La gentilezza e l’empatia non sono solo virtù: sono ciò che ci tiene ancora umani.

Un bambino non educato, alla gentilezza, sarà un adulto antipatico, ferito, confuso, in lotta col mondo e con se stesso. Invece, un bambino cresciuto nella gentilezza sarà un adulto capace di fare la differenza. Per sé, per gli altri, per il mondo.

In conclusione, stiamo davvero educando i nostri figli alla gentilezza e all’empatia o ci stiamo arrendendo a un modello urlato, freddo, conflittuale, competitivo e disarmonico? Ripartire dalla gentilezza e dall’essere empatici, sara’ forse l’unico modo per restare umani in una società diventata troppo liquida.

"La compassione e la gentilezza sono essenziali per la sopravvivenza della democrazia." afferma la filosofa, Martha Nussbaum, una delle pensatrici più autorevoli della cultura occidentale novecentesca.

Questa citazione descrive plasticamente l'importanza della gentilezza e della compassione nella costruzione di una società più giusta e democratica. 

Di Riccardo Pellegrino
Docente di tecniche alternative di risoluzione delle controversie - @Unipa