La guerra nel Golfo Persico tra Israele e Iran vede un altro Stato belligerante: gli Stati Uniti. Dopo il G7 in Canada e la dichiarazione congiunta secondo cui si sarebbe dovuto impedire all’Iran di costruire un ordigno nucleare, Trump ha rotto gli indugi. Del resto, il cancelliere tedesco Merz era stato chiaro: “Israele sta facendo il lavoro sporco”. Anche se, conoscendo il tycoon, non aveva bisogno del sostegno di altre nazioni.
Nella notte di domenica, bombardieri B-2 hanno colpito tre siti nucleari iraniani: i famigerati impianti di Fordow, Natanz e Isfahan. In totale, sono state sganciate sei bombe "bunker-buster" e lanciati trenta missili cruise Tomahawk. Trump ha dichiarato: “L’attacco è stato un successo”. Netanyahu ha ringraziato: “Grazie agli Stati Uniti”. La motivazione ufficiale del conflitto è quella di privare Teheran della possibilità di ottenere l’arma nucleare.
Attualmente il possesso dell’arma è limitato a Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord. Le ultime tre non aderiscono al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP). Israele merita una considerazione a parte: non ha mai ammesso di possedere l’arma atomica, ma nemmeno lo ha mai negato.
Sebbene manchi un riconoscimento ufficiale, organizzazioni specializzate e autorevoli come la Federation of American Scientists e lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) stimano che Israele possieda circa 90 testate nucleari. Dello stesso avviso sono molte agenzie di intelligence internazionali.
Tornando all’Iran, la direttrice dell’Intelligence nazionale statunitense, Tulsi Gabbard, ha affermato: “Teheran non stava costruendo l’arma”. Anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) aveva comunicato di non essere a conoscenza di uno sforzo sistematico per la costruzione di un ordigno nucleare.
È proprio l’aggettivo “sistematico” a fare la differenza. Per arricchire l’uranio al 90%, servono diverse fasi: sostanze chimiche, centrifughe, la produzione del nocciolo e, nel caso delle bombe a implosione – le più comuni – la costruzione di un guscio di esplosivo convenzionale attorno al nocciolo, racchiuso da uno strato di metallo (di solito acciaio o alluminio), il tutto miniaturizzato per poter essere trasportabile e utilizzabile.
Ma oggi, per gli esperti del settore, non ci sono prove convincenti che l’Iran abbia sviluppato i sistemi necessari per integrare un’arma nucleare su uno dei propri missili.
Si perdonerà la lungaggine, ma era necessario per affermare che c’erano margini per evitare un’escalation. Il rischio, ora, è un effetto domino nell’intera regione.
Diventa quindi urgente riportare l’Iran al tavolo dei negoziati. Anche perché la storia dell’ultimo quarto di secolo insegna che il “cambio di regime” è un’illusione destinata al fallimento: basti pensare a Siria, Iraq, Libia e Afghanistan.
Vittorio Alfieri