Al processo “Eirene”, che si sta celebrando davanti al Tribunale di Trapani, si ricompone il puzzle delle indagini che hanno portato a uno degli arresti più pesanti del 2024: quello dell’ex senatore Antonino Papania, accusato di voto di scambio politico-mafioso. Con lui alla sbarra anche l’ex vicesindaco di Alcamo Pasquale Perricone e altre undici persone.
Al centro del dibattimento di ieri mattina, la testimonianza chiave del commissario Mauro Riccitelli, uno dei vertici dello SCO, il Servizio Centrale Operativo della Polizia, che ha condotto le indagini. Riccitelli ha risposto alle domande dei legali dell’ex senatore, chiarendo un punto essenziale: «Non abbiamo accertato incontri tra Papania e i presunti mafiosi», ha detto. E ha aggiunto: «Nessuna promessa o disponibilità a favori, nemmeno tramite Perricone».
Si torna quindi su uno dei nodi centrali del processo: il legame – diretto o indiretto – tra politica e mafia. Un legame che, secondo l’accusa, sarebbe stato alimentato da accordi sottobanco in vista delle elezioni. Ma secondo la difesa, mancherebbero prove concrete di un patto scellerato.
Tuttavia, il commissario Ricciuti – già sentito nella fase precedente – aveva evidenziato che da alcune intercettazioni sarebbe emersa la consapevolezza da parte di Papania di rapportarsi a un contesto mafioso.
Intanto, tra i nomi coinvolti, spiccano anche quello di Francesco Coppola – ritenuto nuovo capo della mafia alcamese – e dei commercianti Giosuè Di Gregorio e Giuseppe Diego Pipitone. Si tornerà in aula il 18 luglio.