Un colpo durissimo all’economia siciliana potrebbe arrivare dall’altra parte dell’Atlantico. Se dovessero diventare realtà i dazi al 30% ipotizzati dall’ex presidente statunitense Donald Trump sulle esportazioni europee, l’Isola perderebbe circa 123 milioni di euro, secondo le stime elaborate dalla Svimez. Un danno enorme che collocherebbe la Sicilia al quarto posto in Italia per impatto economico totale e al secondo tra le regioni meridionali, subito dopo la Campania.
A pesare, in particolare, sarebbe il crollo dell’export agroalimentare: il comparto del “made in Sicily” brucerebbe da solo 54 milioni di euro. Il settore dell’agroindustria pagherebbe così uno dei prezzi più alti nel Sud Italia, superato soltanto dai 242 milioni previsti per la Campania.
Ma la mazzata arriverebbe anche dal settore tecnologico. La rotta commerciale Palermo–New York, strategica per le apparecchiature elettroniche, potrebbe subire un crollo dell’export pari a quasi 52 milioni di euro, la contrazione più marcata di tutta la macroarea meridionale.
Per quanto riguarda altri settori industriali, le perdite sarebbero più contenute ma comunque rilevanti: si stimano cali per 6,3 milioni nel comparto dei mobili e per 4,1 milioni nella meccanica.
Uno scenario nazionale preoccupante
La fotografia scattata da Svimez è allarmante anche a livello nazionale: in caso di dazi statunitensi, l’Italia intera perderebbe fino a 12,4 miliardi di euro, con una contrazione del 20% dell’export verso gli USA. Gli effetti si ripercuoterebbero sul PIL – con oltre 9 miliardi di euro “evaporati” ogni anno – e sull’occupazione, con 150mila posti di lavoro a rischio, di cui 13mila solo al Sud.
Alla luce di questo scenario, Svimez suggerisce “un cambio di approccio da parte dell’Ue e del governo italiano”, per rafforzare le difese del sistema produttivo nazionale e meridionale contro le turbolenze internazionali.
La minaccia dei dazi è una vera e propria spada di Damocle per la Sicilia, che rischia di pagare un prezzo altissimo in settori strategici come l’agroalimentare e l’export tecnologico. E mentre i numeri parlano chiaro, le istituzioni sono chiamate ad agire prima che l’onda lunga della guerra commerciale travolga le economie locali più fragili.