A circa un anno dalla nostra ultima intervista sulla Riforma Cartabia, come promesso, ci risentiamo con l’avvocato Diego Tranchida del Foro di Marsala per fare il punto sulla situazione circa l’andamento delle riforme sulla giustizia in Italia. In particolare, Le chiediamo, avvocato, di darci il suo parere su un argomento particolarmente discusso a livello nazionale, cioè cosa ne pensa come avvocato penalista della riforma concernente la separazione di carriera tra giudici e pubblici ministeri?
Personalmente e come avvocato sono favorevole. Va ricordato, innanzitutto, che la prima proposta di legge in tal senso è venuta proprio dall’Unione delle Camere Penali Italiane, l’associazione nazionale degli avvocati penalisti e dunque assai prima del disegno di legge Nordio-Meloni. E sono favorevole soprattutto perché è una riforma costituzionale che ormai appare necessaria per cominciare a realizzare il giusto processo come quello che già nel 1999 è stato scritto nell’art. 111, secondo comma, della nostra Costituzione. Infatti, esso sancisce che il processo penale è un processo di parti dove accusa e difesa si contrappongono ad armi pari per affermare la loro verità, sul fatto ipotizzato come reato, davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
Un giudice terzo ed imparziale, cioè in Italia in tutti questi anni non lo abbiamo mai avuto?
Cioè non deve avere alcun legame con nessuna delle parti del processo stesso!
Con la riforma ci sarebbe, dunque, la necessaria equidistanza tra giudice e pubblico ministero; finirebbe infatti questo rapporto di colleganza tra giudice e pubblico ministero in quanto entrambi i magistrati che fanno parte dello stesso ordinamento, che hanno fatto lo stesso concorso, la stessa scuola di formazione, che fanno la stessa carriera all’interno dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura che pure si occupa delle eventuali sanzioni disciplinari allo stesso modo nei loro confronti. Si direbbe che sono della stessa pasta!
Ma allora, in un siffatto processo, quale è stato il ruolo dell’avvocato di parte sino ad oggi?
Il difensore in queste condizioni, sarebbe quasi un “convitato di pietra”, con una difesa senz’altro sbilanciata; manca insomma quell’equilibrio tra le parti e il giudice, com’è noto, già simbolicamente pure rappresentato nell’esercizio della giustizia penale dalla bilancia e dai suoi piatti. Se chi deve giudicare, se non resta, infatti, equidistante dalle parti in campo, se non è imparziale, il processo penale rimarrebbe un’anatra zoppa, non può esserci un giusto processo. Ecco, dunque, il senso e la necessità della riforma, in quanto il processo penale è garanzia della libertà personale.
Eppure molti magistrati nelle loro interviste si sono espressi in maniera nettamente contraria a questa riforma…
Non ci si può appellare da parte della magistratura alla cultura della giurisdizione che accomuna giudici e pubblici ministeri per avversare la riforma perché questo legame culturale e di esperienza non può farlo passare per “antidoto” alla loro appartenenza. Peraltro ha anche perso di molto significato alla luce delle già separazione delle funzioni che dal 2022 è ormai appannaggio solo di pochi interessati. In ogni caso va detto che l’avversione alla riforma proviene da una parte minoritaria della magistratura.
Comunque questa riforma non compromette l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. È un timore infondato, nessun rischio di sottoposizione del pubblico ministero, infatti, può essere paventato in quanto con la riforma sono previsti due Consigli Superiori della Magistratura: uno per i giudici ed un altro per i pubblici ministeri. Anzi, la magistratura si rafforza e semmai accrescerà il peso delle procure già peraltro non indifferente.
Dunque, non c’è ragione alcuna per opporsi alla separazione delle carriere, quello che non è accettabile è l’arroccarsi dietro interessi corporativi della stessa magistratura od anche politici contro la magistratura come continua a fare l’attuale governo.
Per noi profani, faccia un esempio di cosa comporta l’attuale sistema e come sarà dopo la separazione delle carriere.
Qualcuno ricorderà ancora che al tempo di “ Mani pulite” la Procura milanese durante la fase delle indagini preliminari fece un ricorso massiccio della custodia cautelare in carcere come non mai nella storia giudiziaria italiana ed è storicamente provato che quasi mai il G.I.P. milanese ha disatteso quelle richieste e che pure quasi mai il Tribunale del riesame si è pronunciato a favore dei prevenuti.
Com’è noto, Giuliano Vassalli, quale ministro della Giustizia all’epoca dell’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988, che lui stesso volle fortemente, in un’intervista di poco prima, quando si parlava dell’arrivo in Italia di un processo all’americana, ha sentito il bisogno di precisare che: “Parlare di sistema accusatorio laddove il pubblico ministero è un magistrato eguale al giudice, che continua a far parte della stessa carriera, degli stessi ruoli, essere colleghi, è uno dei tanti elementi che non rendono molto leale parlare di sistema accusatorio”.
Ecco perché la separazione delle carriere è uno degli obiettivi irrinunciabili , non solo per l’avvocatura che però si sta inseguendo ormai da anni e che poco cambierà se questa riforma non sarà completata con l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione panale, con l’introduzione di una giuria, di cui in Italia abbiamo già fatto esperienza fino al 1931 quando fu abolita dal fascismo per le note ragioni di regime, con un pubblico ministero pure elettivo prendendo come riferimento l’ordinamento statunitense.
Quanto tempo ci vorrà per avere anche in Italia un giusto processo?
Sarà un percorso ancora lungo e sicuramente pieno di ostacoli, come già si nota anche in questi giorni, per costruire anche nel nostro Paese un processo davvero accusatorio dove ancora peraltro mancano giudici, ausiliari, mezzi tecnici, e soprattutto risorse economiche per avere più efficienza e meno tempi lunghi nei processi.
Altrimenti l’art. 111 della costituzione rimarrà una promessa non mantenuta.
La riforma, pertanto, non ha nulla a che vedere con un conflitto tra politica e magistratura, perché è attuazione della nostra Costituzione.