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10/08/2025 06:00:00

In Sicilia il diritto all’aborto resta un percorso a ostacoli

In Sicilia il diritto all’aborto resta un percorso a ostacoli. E la decisione del Consiglio dei ministri di impugnare la legge regionale che prevedeva l’assunzione di ginecologi non obiettori per garantire l’applicazione della legge 194 ha riacceso uno scontro politico e sociale che va ben oltre i confini dell’Isola.

La norma, approvata all’Ars con un voto bipartisan, nasceva da un dato di fatto: in Sicilia l’81,5% dei ginecologi è obiettore di coscienza, con punte dell’85% a Messina (dove, su 36 ginecologi, 35 rifiutano di praticare interruzioni volontarie di gravidanza) e con tre strutture ospedaliere che non dispongono di alcun medico non obiettore.

Lo stop del Governo

Per il Governo Meloni, la legge viola principi costituzionali e competenze statali in materia sanitaria. Ma per i promotori, era uno strumento necessario per garantire un servizio medico essenziale.

“È assurdo – ha dichiarato la segretaria del Pd Elly Schlein – che la prima presidente del Consiglio donna si muova ancora una volta contro le donne. In un momento in cui non trova parole per condannare i crimini di Netanyahu o per difendere la libertà di stampa europea, trova però il tempo per bloccare una legge che voleva assicurare la presenza di medici non obiettori in tutte le strutture”.

La reazione dei sindacati

Durissima la nota congiunta di Cgil nazionale e Cgil Sicilia: “È una decisione incredibile e gravissima. La Sicilia è una delle regioni con più problemi nell’applicazione della legge 194. L’Italia è stata già condannata dal Comitato europeo dei diritti sociali per le difficoltà nell’accesso all’IVG dovute all’alto numero di obiettori. Invece di risolvere il problema, il Governo lo aggrava”.

Secondo i dati ufficiali, meno della metà delle 55 strutture con reparto di ostetricia e ginecologia praticano interruzioni di gravidanza, e il 18% delle donne è costretto a spostarsi in un’altra città per poter abortire.

Obiezione di coscienza e “obiezione di struttura”

L’articolo 9 della legge 194 garantisce al personale sanitario il diritto all’obiezione di coscienza, ma obbliga le strutture a garantire comunque il servizio. Nella pratica, però, in Sicilia si verifica spesso la cosiddetta “obiezione di struttura”: ospedali in cui il 100% del personale è obiettore e dove l’IVG non è di fatto possibile.

Le campagne delle associazioni, come quella dell’Associazione Luca Coscioni, ricordano che la seconda parte dell’articolo 9 è sistematicamente disattesa: “Basterebbe applicare la legge – spiegano Chiara Lalli, Mirella Parachini e Anna Pompili – e introdurre procedure chiare per l’aborto farmacologico ambulatoriale, senza ricovero, per ridurre il peso dell’obiezione e garantire il diritto di scelta delle donne”.

La questione dell’aborto farmacologico

Il metodo farmacologico, sicuro ed efficace, è adottato in modalità ambulatoriale solo in due regioni italiane. In Sicilia, dove la sanità soffre carenze croniche di personale e risorse, la deospedalizzazione dell’IVG ridurrebbe costi e tempi, ma finora non è stata introdotta in modo strutturale.

Secondo le attiviste, non si tratta solo di una questione di diritti, ma anche di efficienza: “Il ricovero non aumenta la sicurezza della procedura, ma ne moltiplica i costi. L’appropriatezza delle cure impone di privilegiare modalità meno onerose per il sistema sanitario, se la donna le richiede e sono equivalenti in termini di efficacia e sicurezza”.

Un caso che travalica la Sicilia

La vicenda siciliana diventa così un banco di prova nazionale per il rapporto tra obiezione di coscienza e diritto alla salute. Per sindacati e associazioni, l’impugnativa del Governo è un segnale politico chiaro: il diritto all’IVG non è una priorità, e resta esposto alle pressioni dei movimenti antiabortisti.

Nel frattempo, la Cgil annuncia battaglia “in tutte le sedi e con tutti gli strumenti” per garantire l’autodeterminazione delle donne e la non discriminazione dei medici non obiettori.