Castelvetrano. 45 anni fa l’uccisione di Vito Lipari, “la verità è più sporca della giustizia”
“Innocenti non innocenti. In memoria di chi è stato ucciso dalla mafia perché la verità è più sporca della giustizia”.
E’ la frase scritta sul pallet installato stamattina vicino alla Stele del Ricordo dedicata a Vito Lipari, sotto un cuore di rose rosse in memoria del sangue versato da tutte le vittime della violenza mafiosa. Ricorre infatti oggi il 45esimo anniversario della morte del sindaco di Castelvetrano, avvenuta il 13 agosto del 1980, in un agguato mafioso lungo la strada che collega Triscina alla città, a soli tre chilometri dal suo ufficio in piazza Umberto I.
“La frase è un invito a guardare la realtà e a ricordare tutte le vittime della mafia” spiega il figlio Francesco, ricordando un uomo che “per tutta la sua breve vita, cercò di fare qualcosa per i suoi simili e per la Città che in quel momento aveva l’onore di amministrare”.
Francesco Lipari, in un’intervista rilasciata a Tp24 nel 2020, aveva raccontato di un “annichilimento” che ha colpito la sua famiglia per molti anni, un silenzio impietrito da un evento inaspettato e terribile. All’epoca, i familiari non si costituirono parte civile, in un periodo in cui “non si sapeva mai niente e lo sgomento in quel caso inibì qualsiasi reazione”.
Il motivo della sua morte però non può essere ricondotto semplicemente alla sua vicinanza ai cugini Salvo, figure di riferimento non solo della Dc, ma di tantissimi altri politici all’epoca.
Seguendo l’intuizione di Falcone di “seguire i soldi”, Francesco è convinto che suo padre sia stato ucciso per motivi economici. Come sindaco, Vito Lipari gestiva numerosi appalti in provincia e “cercava di operare con onestà, senza favoritismi”. “Non faceva 'mangiare' né gli amici né i nemici – spiega Francesco - e soprattutto non prese mai una lira per sé”.
L’omicidio di Vito Lipari è però rimasto senza colpevoli e senza un movente chiaramente accertato. Nel 1985 erano stati condannati all’ergastolo Mariano Agate e i catanesi Nitto Santapaola, Francesco Mangion e Rosario Romeo. Che però, nel 1992 vennero tutti assolti in Appello, con sentenza confermata in Cassazione nel ’93. Il collaboratore di Giustizia Vincenzo Sinacori invece aveva fatto i nomi di Andrea Gancitano, Giovanni Leone e Antonino Nastasi. Quest’ultimo è indicato come colui nella cui campagna fu nascosto l’esplosivo poi usato per gli attentati mafiosi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Ma per l’omicidio Lipari non sono stati trovati riscontri sufficienti. E dunque, assolti anche loro.
“Il lavoro di mio padre lasciò un segno concreto nella comunità – afferma il figlio Francesco - con opere pubbliche, infrastrutture e servizi essenziali realizzati con una gestione corretta delle risorse e senza alcun vantaggio personale”. Il 14 febbraio 2020, la famiglia Lipari ha ricevuto una lettera dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, tramite il Segretario Generale del Quirinale, espresse la sua vicinanza in memoria di un uomo ucciso proprio per la sua opposizione al sistema mafioso.
Ecco perché Francesco Lipari si augura che i castelvetranesi ricordino suo padre come una vittima della mafia, al pari di Michele Reina, Piersanti Mattarella e Giuseppe Insalaco, anch’essi democristiani che si opposero a quella parte della DC interessata solo al proprio tornaconto personale.

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