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29/08/2025 06:00:00

Mediterranea ferma a Trapani: cosa è il decreto Piantedosi e perché si rischiano più morti

La nave Mediterranea è ferma da giorni al porto di Trapani, bloccata da un fermo amministrativo e da una multa di 10.000 euro. Il motivo: aver disobbedito all’ordine del ministero dell’Interno di sbarcare dieci naufraghi soccorsi nel Mediterraneo nel porto di Genova, a oltre 600 miglia di distanza dal luogo del salvataggio. Una decisione contestata con forza dal comandante e dall’equipaggio, che hanno scelto invece Trapani, ritenuto il porto sicuro più vicino, come prescrivono le norme internazionali. La vicenda mette ancora una volta sotto i riflettori le contraddizioni del cosiddetto decreto Piantedosi, il provvedimento con cui il governo Meloni regola i soccorsi delle Ong in mare e che, secondo le organizzazioni umanitarie, sta di fatto ostacolando la salvaguardia della vita umana nel Mediterraneo centrale.

 

Il Salvataggio di dieci persone in mare e la decisione di attraccare a Trapani

Il caso prende avvio lo scorso 18 agosto, quando la Life Support ha soccorso dieci persone in acque internazionali, tra cui due minori e diversi giovani provenienti da Siria, Iraq, Iran ed Egitto. Poco prima erano stati costretti a gettarsi in mare da una motovedetta della Guardia costiera libica che, secondo i racconti dei sopravvissuti, li aveva minacciati, picchiati e scaraventati fuoribordo. I volontari di Mediterranea hanno riferito di aver visto migranti terrorizzati, alcuni bendati e colpiti con scariche elettriche, altri picchiati con calci e pugni. «Quando li abbiamo issati sui gommoni – racconta il volontario Denny Castiglione – erano stremati, insultati e minacciati poco prima da chi avrebbe dovuto salvarli. Poi i libici hanno sparato con mitragliatrici e fucili di precisione. Un proiettile ha addirittura bucato i vetri della plancia di comando della nave, sopra le nostre teste. Se non fossimo stati a terra, oggi parleremmo di morti».

Nonostante la gravità della situazione, il ministero dell’Interno ha imposto a Mediterranea di sbarcare i naufraghi a Genova. Una scelta che avrebbe comportato altri tre giorni di navigazione, con persone in condizioni fisiche e psicologiche già compromesse. A quel punto, il comandante della nave ha deciso di disobbedire all’ordine ministeriale, dirigendo la Life Support verso Trapani, porto sicuro più vicino. «Ho visto i ragazzi rifiutare il cibo, non ce la facevano più – ha spiegato Sheila Melosu, capomissione di Mediterranea – non potevamo tenerli altri quattro giorni in mare».

 

 

 Il fermo amministrativo e l'esposto in Procura

La risposta del Viminale non si è fatta attendere: fermo amministrativo della nave, multa da 10.000 euro e impossibilità per Mediterranea di riprendere subito le attività di soccorso. Un provvedimento che la Ong ha definito «illegittimo e disumano», annunciando un ricorso e depositando un esposto alla Procura di Trapani.

Nel documento, gli avvocati Serena Romano e Fabio Lanfranca ricostruiscono la sequenza dei fatti: dalle intimidazioni e dagli spari della Guardia costiera libica fino alla decisione del comandante di sbarcare a Trapani per motivi umanitari. Mediterranea chiede che la magistratura indaghi non solo sui gravi reati commessi dai miliziani libici, ma anche sulle complicità italiane, dal momento che quelle stesse motovedette sono state donate e finanziate dal governo italiano ed europeo. «È assurdo – sottolineano i portavoce della Ong – che chi salva vite venga criminalizzato, mentre chi le mette in pericolo venga armato e sostenuto».

 

Il decreto Piantesodi: cosa è, cosa prevede e perché fa discutere

La vicenda della Life Support si inserisce in un quadro normativo segnato dal decreto Piantedosi, approvato il 2 gennaio 2023 con il nome di “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori” e successivamente integrato dal cosiddetto decreto Flussi del 2024. La misura, fortemente voluta dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha introdotto regole che hanno cambiato profondamente le modalità di soccorso in mare da parte delle Ong.

I punti principali sono tre:

  • Assegnazione dei porti lontani: le Ong, dopo i salvataggi, non sbarcano più nei porti siciliani o calabresi, ma vengono inviate a centinaia di miglia di distanza, in porti del Nord Italia come Ancona, Ravenna o Genova.
  • Divieto di salvataggi multipli: le navi, una volta effettuato un soccorso, devono dirigersi senza deviazioni al porto assegnato, anche se durante il tragitto intercettano altre imbarcazioni in pericolo.
  • Fermo amministrativo e multe: chi non rispetta le disposizioni del Viminale rischia sanzioni economiche e il blocco della nave, impedendone l’operatività per settimane.

Secondo SOS Méditerranée, queste regole hanno avuto un impatto drammatico. Prima del decreto, la nave Ocean Viking salvava in media 278 persone per missione; dopo, il numero è crollato a circa 128. Parallelamente, i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni mostrano che dal 2023 a oggi oltre 4.200 persone sono morte nel Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più letale al mondo.

 

Porti lontani, più morti e meno soccorsi

Dal dicembre 2022, con l’introduzione della prassi dei porti lontani, le Ong hanno percorso complessivamente 275.000 chilometri di navigazione inutile, pari a 735 giorni di attività “sprecata” solo per raggiungere e tornare da scali lontani. Si tratta di tempo prezioso che avrebbe potuto essere impiegato per salvare altre vite.

Le conseguenze sono molteplici: i naufraghi soccorsi devono affrontare viaggi estenuanti a bordo di navi di soccorso, già debilitati da torture e violenze subite nei lager libici; le Ong riducono drasticamente la loro presenza nelle zone di ricerca e soccorso, aumentando così la probabilità che altre imbarcazioni affondino senza aiuto; infine, i costi economici e ambientali diventano insostenibili. Solo per la Ocean Viking, il carburante speso per raggiungere i porti lontani ha superato 1,3 milioni di euro in due anni, soldi che avrebbero potuto finanziare ulteriori missioni di soccorso.

 

La questione libica e le accuse al governo italiano

Uno degli aspetti più controversi è la collaborazione tra Italia e Libia. Le Ong denunciano da anni che le motovedette libiche, addestrate e armate con fondi europei, non solo non garantiscono porti sicuri ma si rendono responsabili di violenze gravissime: spari contro le navi umanitarie, naufraghi costretti a gettarsi in mare, migranti riportati a forza nei centri di detenzione libici dove subiscono torture, stupri, estorsioni e maltrattamenti documentati da rapporti ONU e da inchieste giornalistiche.

Sheila Melosu di Mediterranea è netta: «Il ministro Piantedosi dovrebbe spiegare perché l’Italia continua a fare accordi con chi spara e tortura esseri umani. Le motovedette libiche sono state regalate dal nostro governo, che dovrebbe vergognarsi».

 

Ragazzi torturati, presi a calci e buttati in mare. Ci hanno sparato addosso". Il racconto shock dell'equipaggio della Mediterranea Saving Humans al porto di Trapani 

 

 

 

La consulta e il nodo giuridico

La questione del decreto Piantedosi è arrivata anche davanti alla Corte Costituzionale, che si è pronunciata su un ricorso legato al fermo della nave Ocean Viking. I giudici hanno definito la misura “non irragionevole né sproporzionata”, riconoscendone il carattere punitivo ma anche la chiarezza normativa. Tuttavia, la stessa Consulta ha sottolineato un punto decisivo: non è vincolante un ordine che comporti la violazione del primario obbligo di salvataggio della vita umana.

Questo significa che se l’esecuzione di un ordine – ad esempio l’assegnazione di un porto troppo lontano o la consegna dei migranti alla Guardia costiera libica – mette in pericolo i diritti fondamentali delle persone soccorse, quell’ordine non può essere considerato legittimo né la sua inosservanza può essere sanzionata. Una interpretazione che ridimensiona l’arbitrio delle autorità e ribadisce che al centro deve esserci sempre la salvaguardia della vita.

 

Trapani solidale con Mediterranea

 

Intanto, al porto di Trapani si è creata una forte rete di solidarietà attorno alla nave e all’equipaggio. Delegazioni del Partito Democratico, di Sinistra Italiana, della Cgil e di varie associazioni hanno fatto visita alla Life Support, portando sostegno e vicinanza. Anche Legambiente Marsala-Petrosino ha preso posizione essendo presente al sit-in, ecco cosa scrive su Instragram: "Persone gettate in mare come fossero rifiuti. Dieci vite salvate, ma il “premio” è stato il fermo amministrativo e una multa di 10.000€. Il governo impone 600 miglia di navigazione fino a Genova, ignorando il diritto internazionale che chiede lo sbarco nel porto sicuro più vicino. Il comandante e il capomissione hanno scelto Trapani, per garantire cure urgenti a chi rischiava la vita. Ma la risposta è stata: bloccare la nave, punire chi salva vite, ostacolare chi difende i diritti umani. Il Circolo Legambiente Marsala Petrosino sarà sempre accanto a chi tende la mano in mare. Contro la propaganda, contro la crudeltà, per la difesa della vita".

 

 

La criminalizzazione di chi salva vite

Il caso di Mediterranea è emblematico delle difficoltà che le Ong incontrano oggi nel Mediterraneo. Il decreto Piantedosi, presentato come uno strumento per “contrastare i trafficanti”, di fatto limita le operazioni di ricerca e soccorso e contribuisce ad aumentare il numero delle vittime in mare. La logica dei porti lontani e dei fermi amministrativi mette al centro la sicurezza dei confini più che quella delle persone. Come ha dichiarato Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans: «Non prendiamo lezioni sul soccorso in mare e sulla lotta ai trafficanti da chi sostiene la cosiddetta Guardia costiera libica. Il nostro dovere è salvare vite, sempre».