Gentile direttore di Tp24,
non riesco a nasconderle il fascino che esercita in me il ribollire sociale che sta surriscaldando Trapani in questi mesi; affascinante perché non capita spesso di assistere a un attacco al potere così massiccio, con tutto il carico di riflessioni che ciò comporta.
Non nascondiamoci dietro un dito. Il presidente della Trapani Shark ha mosso guerra all’amministrazione cittadina sicuramente con metodi aggressivi ma che non possiamo, in tutta onestà, definire inefficaci.
In tanti – cittadini, attivisti, commercianti, lavoratori – avevano cercato un confronto con il sindaco e la sua amministrazione, rimbalzando perennemente contro un muro di gomma: l’arroganza del potere che non ammetteva discussioni. Il confronto civico era stato eliminato, spesso denigrato o infangato con una violenza verbale che, seppur diversa da quella antoniniana, strisciava come serpe tra le legittime istanze. Era una violenza fatta di maldicenza, isolamento dell’avversario, squalifica dell’interlocutore critico. Una violenza fatta di menzogne, di paradisi cittadini raccontati sulle macerie fumanti di un fallimento.
Se esiste qualcosa di peggiore dell’insulto alla persona, è quello alla sua intelligenza.
A peggiorare le cose, lo spirito civico era diventato muta rassegnazione. Il confronto sociale, oggi di nuovo vivo, era stato anestetizzato, atomizzato, zittito. Il disservizio era stato accettato quale ineludibile compagno di vita: “mondo è, e mondo è stato”.
Con il senno di poi, mi azzardo a ipotizzare che parte di questa sconfitta cittadina sia imputabile al bon ton: alla pretesa di essere rimasti educati di fronte ai briganti.
E forse, se si dice che a un brigante ci vuole un brigante e mezzo, l’errore è stato quello di interpretare male i propri interlocutori. Cosa che il brigante e mezzo Antonini non ha fatto, decidendo di spostare il registro discorsivo dentro lo stesso fango in cui giocava l’amministrazione, dimostrandosi ad oggi più efficace di loro.
Non mi fraintenda: sono assolutamente d’accordo con molti commentatori cittadini. In una società ideale, con un set comunicativo e valoriale condiviso, io sarei il primo ad ammettere che la moderazione rappresenta il giusto approccio al dialogo. Ma voi avete mai provato a chiedere “permesso” e “per favore” a un brigante che vi sta rapinando?
Sì, magari la sera andrete a dormire convinti di essere stati più civili ed educati. Ma sempre senza portafogli vi sveglierete l’indomani.
Il brigante e mezzo Antonini, d’altronde, con il suo ariete comunicativo, sta demolendo le mura del fortino del potere come nessuna associazione o comitato era mai riuscito con report, argomentazioni documentate e i sentieri della legalità a disposizione.
Lì dove la testa ha fallito, ci sta riuscendo la pancia.
E il potere cosa fa? Lungi dall’autocritica, la giunta continua ad annaspare e propinare le stesse menzogne decennali: sono stati i vandali, il cimitero è perfetto, l’acqua abbondante, la città pulita.
Ma ormai il fortino è pieno di crepe e le bugie filtrano tra esse, ghiacciandosi e spaccando i tufi a ogni gelata social del patron granata. Quello che crolla è un sistema di potere tentacolare, definito (tardivamente) “monarchico” dall’ex assessore Barbara, pedina volontaria o forzata in questo ’48 in salsa trapanese. Un potere che non ha saputo dare risposte concrete ai cittadini ma solo vuote promesse: fantastilioni di euro su carta e palpabile degrado in città. Con le date dei miracoli talmente in “movimento” da slittare sempre più in là. E così le impalcature delle opere pubbliche (in imminente consegna!) rimangono montate per anni, diventando panorama cittadino: still life di barocco e tubi arrugginiti. I milioni che compaiono al click di un comunicato stampa, spariscono dalle cronache con la stessa rapidità. Un’immensa operazione di gaslighting ai danni di cittadini che hanno ormai raggiunto la soglia di sopportabilità.
Perché non è tanto il degrado, la cronica carenza di soldi o le tasse locali in perenne aumento; è l’essere presi per stupidi, a fomentare l’orgoglio. Non tanto l’offesa detta a voce, quanto la pretesa di avere di fronte un’orda di babbei.
Antonini ha sicuramente tanti difetti. Troppo impulsivo, troppo aggressivo anche verso chi non lo meriterebbe. Tracotante e insofferente alle critiche, ignorando che esse sono il motore per migliorarsi. Se il confronto con Tranchida è stato caratterizzato da arroganza e chiusura, non mi aspetto miglioramenti con l’ipotetico sindaco romano. Ed è un peccato, perché una comunità è un insieme di interessi – complementari o divergenti – che vanno obbligatoriamente negoziati.
Il futuro del dibattito cittadino, da questo punto di vista, mi impensierisce parecchio.
Ma chiudiamo con un raggio di ottimismo. Negli agglomerati sociali l’orizzonte di aspettativa può essere foriero di sorprese.
Durkheim, uno dei padri della sociologia, teorizzava l’esistenza di uno specifico collante comunitario: una solidarietà organica dove ogni membro aveva un ruolo interdipendente con quello degli altri. Forse il ruolo di Antonini è demolire un sistema ormai mefitico, senza per forza sostituirlo.
Forse, dopo aver toccato il fondo dello sdegno, quando i corvi banchetteranno sulle macerie del tranchidismo, i cittadini chiederanno a gran voce un’amministrazione più rispettosa, calma, educata.
Ad Antonini resterà il merito di aver espugnato il forte. Alle forze più moderate il compito di gestirlo. Chi lo sa?
Per adesso restiamo a guardare, in attesa che le mura crollino.
Luca Sciacchitano