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04/12/2025 06:00:00

Sicilia, la politica infetta. Cuffaro come metafora

Con quella che riguarda Cuffaro e soci, sono già più di dieci, oggi, le indagini che toccano la galassia siciliana del governo regionale, e ormai ci abbiamo fatto l’abitudine.

Ogni volta è la stessa storia: un assessore indagato, una perquisizione, un’inchiesta che lambisce qualche cerchio di uno dei tanti "leader" o presunti tali, delle intercettazioni che lasciano con l'amaro in bocca per i toni, i contenuti, i modi.
E la politica, invece di fermarsi e interrogarsi, fa come con un appestato: isola l’indagato, lo lascia un po’ in quarantena, e poi, quando il clamore finisce, lo rimette in gioco. Come quando si va in prigione al Monopoli. Torna al via, riprova più avanti.

Passa così il tempo, rimane intatta la logica dietro il sistema, che oggi chiamiamo sistema Cuffaro, ma che in realtà ha tanti protagonisti e tanti nomi e interpreti: un organismo vivo, perfettamente adattato al presente.
Un sistema che si rigenera come un virus, colonizzando bandi, partecipate, consorzi, assessorati.
Un potere fatto di retrobottega, di telefonate e “vasate”, di pizziate e cene lussuose, di piccole clientele travestite da affetto.

 

E' qualcosa che non riguarda solo i vertici, ma anzi, si rivela in periferia. Prendiamo il caso di Marsala, Trapani, Erice, Mazara: città travolte, negli ultimi anni, da inchieste per corruzione e malaffare. Eppure tutto viene derubricato a “fattarello”.
Ci si scandalizza per un giorno, poi si cambia argomento.

Per citare un caso a noi vicino, il Sindaco di Marsala, Massimo Grillo, è stato eletto da una coalizione infetta, con un intero partito, il movimento VIA, sciolto, di fatto, per endemica corruzione dei suoi dirigenti. Eppure ci si batte il petto parlando di moralità e di legalità. Solo pochi mesi fa il Sindaco Grillo celebrava l'alleanza con la Dc di Cuffaro. Adesso è calato il silenzio. 

 

E mentre tutto questo accade, le conseguenze le pagano i cittadini: i malati che aspettano referti per mesi, le famiglie schiacciate dalla burocrazia, le città che restano senz'acqua pure nella stagione della pioggia, i giovani costretti ad andarsene, i fondi del Pnrr sprecati per creare ippodromi e passeggiate infinite. 

Perché nel frattempo, tra uno scandalo e l'altro,  tra interrogatori e polemiche, vertici di maggioranza e sit - in dell'opposizione, accadono fatti. I fatti sono racconti dai dati. Le ricerche, le indagini, le statistiche condannano la Sicilia all'abbandono. I numeri dell'economia sono buoni, certifica Bankitalia, ma non si tiene conto che la Regione ha sempre il doping della gran massa di risorse comunitarie e del Pnrr che sono arrivate in questi anni. Insomma, è una vampata che dà calore per qualche momento, ma non crea vera ricchezza strutturale, perché sono soldi spesi male.  E' su questo che dovremmo ribellarci. La lotta alla mafia, la lotta alla corruzione, è oggi più che mai una lotta per lo sviluppo. Vero e per tutti. 


La corruzione è diventata una tassa implicita sul vivere in Sicilia, una specie di IVA morale che paghiamo per far funzionare la macchina pubblica.

Lo scandalo non è giudiziario, è antropologico.
È nel “socco c’è ppi mia”, nell’idea che tutto sia dovuto, che l’incarico per un parente, la consulenza per un amico, la nomina per un alleato, siano il normale prezzo della fedeltà.
Non è più neanche scambio politico: è cultura. È abitudine. È stile di vita.

E così la legalità è diventata liturgia: le parate con i pennacchi, le cittadinanze onorarie a Falcone o Borsellino, i tavoli tecnici sulla trasparenza.
Riti che lavano la coscienza, ma non cambiano la sostanza.

La verità è che siamo infetti.
Non solo le amministrazioni, ma noi tutti.
Perché tolleriamo, giustifichiamo, ridiamo sopra.
E mentre ci dicono che il problema sono “i niuri” nelle piazze del centro o i ragazzi che scorazzano con i motorini, mentre ci riempiono di telecamere per sorvegliarci h24 sulla buona condotta, ci rubano i nostri soldi.
Otto milioni di euro, solo nell’ultima inchiesta sulla formazione professionale: il bottino di un sistema che chiama “occupazione” ciò che è solo spartizione.


La politica siciliana non cambia mai davvero, si reincarna.
E anche quando taglia un ramo malato, il tronco resta lo stesso, marcio e fiorente.

E allora sì, forse Totò Cuffaro non è più solo un nome.
È una categoria dello spirito.
È la metafora perfetta di un’isola che ha smarrito il futuro, e che continua a votare per il passato.

 

 

Giacomo Di Girolamo



Editoriali | 2025-12-04 06:00:00
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Sicilia, la politica infetta. Cuffaro come metafora

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