Oggi, nel giorno dell'anniversario del suo assassinio per mano mafiosa, la città di Trapani conferirà la cittadinanza onoraria a Mauro Rostagno, come deliberato qualche giorno fa dal consiglio comunale. Un gesto importante, ma arriva con un ritardo che pesa come un macigno. Perché Rostagno, a differenza di tanti che si sono visti tributare onori e riconoscimenti, non era un uomo comodo. Non aveva conti in banca da esibire, non indossava abiti di marca, non frequentava salotti buoni. Era, semplicemente, un “rompipalle”: uno che faceva domande, che smontava verità apparenti, che non sapeva – e non voleva – starsene zitto.
Ed è qui che sorge la vera domanda: Trapani merita davvero un cittadino come lui? Oggi si celebrano cerimonie, si consegnano pergamene, si sorride davanti alle telecamere. Ma la memoria è un terreno scivoloso. Troppi hanno costruito fortune sulle spalle di Rostagno. Troppi confondono la libertà di parola conquistata a caro prezzo con la licenza di insulto.
La verità è che, se Mauro Rostagno fosse ancora tra noi, non starebbe su un palco a ringraziare. Sarebbe sotto quel palco, a disturbare. A denunciare. A dire che dietro gli applausi si nasconde l’ipocrisia. Forse lo zittirebbero, forse lo accuserebbero di essere “fuori dal coro”. E avrebbero ragione: perché Mauro non stava mai nel coro.
E allora il punto è questo: cosa vuole fare Trapani con la sua memoria? Limitarsi a un’immagine sbiadita da tenere in un album di famiglia, a una foto d’archivio buona per la cerimonia? Oppure assumere sul serio l’eredità di Rostagno, accettando di lasciarsi scuotere, scomoda, mettere davanti allo specchio delle proprie contraddizioni?
La cittadinanza onoraria a Mauro Rostagno non è solo un riconoscimento postumo. È un test, una sfida. Non a lui – che non ne ha bisogno – ma a noi. A Trapani. Alla nostra capacità di non addomesticare la memoria, ma di farne ancora oggi un atto di coraggio.
Perché Mauro Rostagno non appartiene al passato, ma a chi ha il coraggio di guardarsi allo specchio.
Giacomo Di Girolamo