L’8 ottobre scorso la Fondazione Gimbe ha presentato l’ottavo Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha parlato di un lento ma inesorabile smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale: “Che spiana inevitabilmente la strada a interessi privati di ogni forma. Continuare a distogliere lo sguardo significa condannare milioni di persone a rinunciare non solo alle cure, ma a un diritto fondamentale: quello alla salute. Da anni i Governi, di ogni colore politico, promettono di difendere il Servizio Sanitario Nazionale, ma nessuno ha mai avuto la visione e la determinazione necessarie per rilanciarlo con adeguate risorse e riforme strutturali. Le drammatiche conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aumento delle disuguaglianze, famiglie schiacciate da spese insostenibili, cittadini costretti a rinunciare a prestazioni sanitarie, personale sempre più demotivato che abbandona la sanità pubblica. È la lenta agonia di un bene comune che rischia di trasformarsi in un privilegio per pochi".
I tagli
Ecco cosa dice il rapporto sul definanziamento. Dopo i tagli del decennio 2010-2019 e le imponenti risorse assegnate nel 2020-2022 assorbite interamente dalla pandemia, il fondo sanitario nazionale (FSN) nel triennio 2023-2025 è cresciuto di ben € 11,1 miliardi: da € 125,4 miliardi del 2022 a € 136,5 miliardi del 2025. Risorse in buona parte erose dall’inflazione – che nel 2023 ha toccato il 5,7% – e dall’aumento dei costi energetici. "Ma dietro l’aumento dei miliardi – afferma Cartabellotta – si cela un imponente e costante definanziamento, perché cambiando unità di misura le rassicuranti cifre assolute diventano solo illusioni contabili". Infatti, la percentuale del FSN sul PIL al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025, pari a una riduzione in termini assoluti di € 4,7 miliardi nel 2023, € 3,4 miliardi nel 2024 e € 5 miliardi nel 2025. Per Cartabellotta senza un deciso rifinanziamento, a partire dalla Legge di Bilancio 2026, il divario tra stima di spesa e risorse allocate costringerà le Regioni a scelte dolorose per i propri residenti: ridurre i servizi o aumentare la pressione fiscale.
La rinuncia alle cure
Secondo i dati ISTAT, la spesa sanitaria per il 2024 ammonta a € 185,12 miliardi: € 137,46 miliardi di spesa pubblica (74,3%) e € 47,66 miliardi di spesa privata di cui € 41,3 miliardi (22,3%) pagati direttamente dalle famiglie (out of pocket) e € 6,36 miliardi (3,4%) da fondi sanitari e assicurazioni. Complessivamente l’86,7% della spesa privata grava direttamente sui cittadini, mentre solo il 13,3% è intermediata.
Poca equità di accesso alle cure- dice Cartabellotta – che peggiorano le condizioni di salute: limitazione delle spese per la salute, indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, rinuncia alle prestazioni sanitarie". Un fenomeno esploso nel 2024 quando ha coinvolto 1 italiano su 10 (oltre 5,8 milioni di persone), ossia il 9,9% della popolazione, con marcate differenze regionali: dal 5,3% della Provincia autonoma di Bolzano al 17,7% della Sardegna. Il quadro è destinato a peggiorare, complice l’aumento della povertà assoluta che nel 2023 ha colpito 2,2 milioni di famiglie (8,4%). "L’aumento della spesa a carico delle famiglie – osserva Cartabellotta – rompe il patto tra cittadini e Istituzioni con milioni di persone costrette a pagare la sanità di tasca propria o, se indigenti, a rinunciare alle prestazioni. E soprattutto senza più la sicurezza di poter contare su una sanità pubblica che garantisca certezze”.
LEAssistenza e mobilità
L’ Italia è spaccata: solo 13 Regioni rispettano i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), prestazioni e servizi da garantire a tutti i cittadini gratuitamente o previo pagamento di un ticket. Al Sud si salvano solo Puglia, Campania e Sardegna. La cartina al tornasole degli adempimenti LEA è la mobilità sanitaria che nel 2022 vale oltre € 5 miliardi: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 94,1% del saldo attivo, mentre il 78,8% del saldo passivo si concentra in 5 Regioni del Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e nel Lazio, che registrano un saldo negativo oltre € 100 milioni. Le conseguenze di questa permanente “frattura strutturale” tra Nord e Sud si riflettono anche nell’aspettativa di vita che in tutte le Regioni del Mezzogiorno è pari o inferiore alla media nazionale. Le stime ISTAT per il 2024 indicano una media nazionale di 83,4 anni con nette differenze regionali: dagli 84,7 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81,7 della Campania, un gap di ben 3 anni. "Un drammatico segnale – commenta Cartabellotta – che testimonia la bassa qualità dei servizi sanitari del Mezzogiorno, oltre al fallimento di Piani di rientro e Commissariamenti nella riqualificazione e riorganizzazione sanitaria delle Regioni del Sud: qui i cittadini vivono una sanità peggiore, devono spendere per curarsi altrove e pagano imposte regionali più alte”.
Tanti medici, pochi infermieri
Al 2023 i medici dipendenti sono 109.024, pari a 1,85 per 1.000 abitanti, e quelli convenzionati 57.880. Ma secondo i dati OCSE, che includono tutti i medici in attività compresi gli specializzandi, il nostro Paese conta ben 315.720 medici, ovvero 5,4 ogni 1.000 abitanti. Siamo secondi dopo l’Austria, con un valore nettamente superiore alla media OCSE (3,9) e a quella dei paesi europei (4,1).
Dice Cartabellotta: “Questi numeri dimostrano che in Italia non c’è affatto carenza di medici, ma attestano una loro fuga continua dal SSN e carenze selettive in specialità ritenute poco attrattive e nella medicina generale".
Il numero degli infermieri è inferiore: 6,5 ogni 1.000 abitanti rispetto alla media OCSE di 9,5 . Secondo i dati nazionali, nel 2023 sono 277.164 gli infermieri dipendenti, pari a 4,7 per 1.000 abitanti, con un range che varia da 3,53 della Sicilia a 6,86 della Liguria. A peggiorare lo scenario si aggiunge il crollo dell’attrattività per la professione: per l’anno accademico 2025/2026 il rapporto tra domande presentate e posti disponibili al corso di laurea in Infermieristica è crollato a 0,92.
Sul fronte della medicina territoriale, al 1° gennaio 2024 si stima una carenza di 5.575 medici di medicina generale e di 502 pediatri di libera scelta, che rende spesso difficile trovare un professionista vicino al proprio domicilio. Infine, le retribuzioni restano ben al di sotto della media OCSE.
Il rilancio
Per Cartabellotta “Il futuro del Ssn si gioca su una scelta politica netta: considerare la salute un investimento strategico del Paese o continuare a trattarla come un costo da comprimere. Il Piano di Rilancio della Fondazione Gimbe punta in una direzione chiara: rafforzare e innovare quel modello di SSN istituito nel 1978, finanziato dalla fiscalità generale e basato su princìpi di universalità, uguaglianza ed equità, al fine di garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone. Ma perché questo Piano sia attuabile, la Fondazione Gimbe invoca un nuovo patto. Un patto politico che superi ideologie partitiche e avvicendamenti di Governo, riconoscendo nel Ssn un pilastro della democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore di sviluppo economico; un patto sociale che renda i cittadini consapevoli del valore della sanità pubblica e li educhi a un uso responsabile dei servizi; un patto professionale in cui tutti gli attori della sanità devono rinunciare ai privilegi di categoria per salvaguardare il bene comune".