"Chi ha avut, avut e chi ha rat, ha rat, scurdammoce 'o passato, simme 'e Napule paisà" è la frase di una canzone partenopea scritta nel 1944. Ed è quanto mai pertinente, a sette mesi dall’apertura delle urne elettorali a Marsala, per descrivere l’azione di molti consiglieri in carica.
Non volendo riavvolgere il “videotape” a un lustro fa – anche se l’intento della classe politica lilibetana sembra proprio questo, cioè far dimenticare l’avvento di Massimo Grillo al “quartiere spagnolo” con l’aiuto di 21 dei 24 abitanti della Sala delle Lapidi (esclusi Fici, Rodriquez e Passalacqua) – vale la pena ricordare alcuni passaggi.
Dopo quattro anni di governo Grillo, fu Passalacqua a rompere gli indugi presentando una mozione di sfiducia al sindaco. L’atto, previsto dalla norma, richiede la firma di almeno dieci consiglieri, ma ne raccolse dodici: Passalacqua, E. Milazzo, Orlando, Di Pietra, Coppola, Alagna, Giacalone, Fici, Rodriquez, Ferrantelli, Vinci e Accardi. Poco prima della discussione in aula, il 4 giugno dello scorso anno, ai dodici firmatari si aggiunsero anche Genna e Martinico. Mancò un solo voto – uno soltanto – per porre fine a quella che, secondo la stragrande maggioranza degli attori dell’Assemblea consiliare, è stata una sindacatura pessima (per usare un eufemismo).
Inoltre, due consiglieri avevano già preso le distanze dal primo cittadino: Vito Milazzo e Cavasino, inizialmente appartenenti al movimento del sindaco Liberi, poi fuoriusciti all’inizio dell’anno per fondare il gruppo consiliare Azione in Marsala. Un altro consigliere, Di Girolamo, aveva espresso più volte perplessità sull’operato di Grillo, poi manifestate in aula con il voto di astensione.
Nella tarda primavera del 2025, dopo oltre cinque ore di discussione, il Consiglio comunale bocciò la mozione di sfiducia con 11 voti favorevoli, 7 contrari (Sturiano, Pugliese, Gerardi, Carnese, Titone, Bonomo e Fernandez) e 3 astenuti: Cavasino, Vito Milazzo e Di Girolamo.
Milazzo e Cavasino dichiararono: “Abbiamo lasciato la maggioranza da qualche mese e lo abbiamo più volte motivato. Ma, proprio per l’esiguità del tempo, ci asterremo, anche se alcuni passaggi della mozione li condividiamo.”
Il sindaco, subito dopo averla “svangata”, accusò i due di averlo tradito, nonostante avesse accolto la richiesta di un assessorato per Milazzo. Quest’ultimo replicò di aver rifiutato per ben due volte la proposta.
Il vero capolavoro politico, però, fu escogitato da Ferrantelli, Accardi e Vinci: dopo aver sottoscritto la mozione, durante la votazione uscirono dall’aula con un arzigogolo degno della Prima Repubblica. Un anno dopo, a metà giugno, a svelare definitivamente il loro posizionamento furono Di Girolamo e Ferrantelli, che entrarono nell’esecutivo comunale in rappresentanza della Nuova Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro, indicando Lombardo come assessore.
Quel che giova rammentare è che otto degli undici consiglieri favorevoli alla sfiducia avevano sostenuto Grillo nel 2020. Inoltre, Milazzo e Cavasino hanno forse peccato d’ingenuità politica (e forse anche personale), mentre Ferrantelli e Di Girolamo hanno agito per pura strategia opportunistica. Accardi e Vinci, invece, sono rimasti con il cerino in mano.
E poi ci sono Bonomo e Pugliese che, nonostante le avvisaglie dei primi tre anni, rinnovarono la fiducia al sindaco per poi abbandonarlo un anno dopo con la seguente motivazione: “Con senso di responsabilità, che ha sempre caratterizzato il nostro operato, usciamo da una maggioranza senza identità e visione.”
Adesso, parafrasando Proust, andranno “alla ricerca del tempo perduto” insieme al sindaco. Invece no, tanto vale per tutti: “Chi ha avut, avut e chi ha rat, ha rat, scurdammoce 'o passato, simme politici paisan.”
Vittorio Alfieri