Conosciamo tutti Matteo Salvini: è ormai da un decennio una tra le figure più rilevanti della politica italiana. È molto noto anche per la capacità di cambiare fortemente idea, nel corso del tempo, su numerose questioni politiche, dal superbonus al ponte sullo stretto.
Ma una caratteristica non muta, anzi, diventa più o meno consapevolmente il cavallo di battaglia, suo e della sua realtà politica: l'odio verso una determinata categoria. L'odio verso il diverso non è sicuramente una peculiarità del XXI secolo, dato che moltissime società umane passate hanno sviluppato tramite pregiudizi ostilità verso qualcosa che non era familiare, ma è con la rivoluzione scientifica del XVII secolo, all'interno dell'età del colonialismo, che il concetto di razza spiega le diversità umane tramite un ragionamento che pone gli europei al di sopra del resto, sia dal punto di vista culturale che morale: da qui l'odio verso il diverso si radicalizza e diventa sistematico, mentre la superiorità di una certa categoria scandisce e ordina le gerarchie sociali.
L'operato di Salvini si inserisce perfettamente all'interno di questo schema che ho spiegato molto brevemente. Già nel 1990 si tessera con la Lega Nord, a quel tempo realtà indipendentista: ponendo al centro tutto ciò che concerne l'indipendenza della cosiddetta Padania, il partito cerca di fomentare l'odio verso il diverso, soprattutto il meridionale, attecchendo su delle culture già pregne di ciò. La Lega Nord, di cui Salvini diventerà segretario nel 2013, gioca, attraverso comizi e dichiarazioni esplicite, su slogan stereotipati e razzisti contro Napoli, la Sicilia, eccetera, tra gli applausi scroscianti dei propri elettori: riesce così a stabilizzare un forte collante socio-politico rinchiudendosi nella propria zona di confort di odio verso il diverso, svelando poi un'ideale che mira alla creazione di un progetto in cui ciò che è estraneo viene escluso.
Dopo che il partito continua ad accumulare consensi, Salvini & Co. scelgono di presentarsi alle elezioni del 2018 soltanto come Lega, formalizzando un percorso che li stava traghettando dall'indipendentismo al nazionalismo: una mossa elettorale vincente che li pone ai piani alti del governo italiano. Ma, da quel momento in poi, la Lega non può più permettersi di fare dichiarazioni pubbliche contro i meridionali, dato che anche quest'ultimi sono ormai diventati un appetibile bacino elettorale: allora si decide di puntare il dito contro un'altra categoria marginalizzata, gli islamici. In questo caso si gioca sulla contrapposizione fra Occidente ed Oriente, termini mappazzoni che, decontestualizzando il critico Edward Said, osservano il mondo da una prospettiva eurocentrica e stereotipata con un disperato bisogno di creare a tavolino un concetto identitario di alterità.
Questa retorica attecchisce benissimo in un clima in cui l'immigrazione diventa sempre più ricorrente e in cui i vari territori non risultano in grado di stabilire delle politiche concrete di sostegno e di inclusione verso i migranti: da un lato Salvini identifica l'islam come una religione di estremisti, ne denuncia l'incompatibilità con la nostra costituzione e si fa, di conseguenza, paladino della "nostra" cultura, mentre Vannacci, personalità ormai di rilievo all'interno del partito, inneggia esplicitamente alla remigrazione.
Nonostante la Lega abbia ad oggi oltrepassato il suo momentum, è significativo che questa dialettica continui a creare nuovi seguaci: non sorprende, allora, che non sia attualmente un qualcosa di proprio soltanto del team di Matteo Salvini, ma anche di altre realtà italiane e governi stranieri come quello americano e israeliano: probabilmente tutto ciò fa parte di un genere di razzismo interiorizzato che è ancora un perno della cultura egemonica occidentale e che per questo trova un elevato consenso politico. Forse, per cercare di smarcarsi da ciò bisognerebbe alimentare un'educazione basata sull'uguaglianza e sul relativismo culturale, che costruisca, attraverso forme nate dal basso e poi istituzionali, una società in cui l'inclusività sia realmente sostenuta da politiche concrete.
Luca Lo Buglio