Remigrazione: la parola dell'anno. Eufemismo della crudeltà
di Katia Regina
Si avvicina la fine dell'anno e vorrei individuare una parola che possa riassumere l'intero andazzo del 2025. Una parola che sia indicativa di qualcosa, non nel bene, ma nel male. Per gli amanti dell'ipocrisia lessicale, il 2025 ci ha regalato un vero gioiello: Remigrazione. Non è una parolaccia, certo. Suona anzi deliziosamente tecnico, quasi burocratico. Un termine così neutro, così pulito, che sembra uscito da un manuale di gestione dei flussi migratori del Liechtenstein. Peccato che, dietro questa facciata da contabile, si nasconda un progetto politico che è, per la sua essenza più cupa e pericolosa, un piano di pulizia etnica tramite deportazione di massa.
Se il compianto George Orwell fosse vivo oggi, avrebbe un attacco di panico nel vedere con quanta chirurgica precisione il potere ha imparato a orientare il pensiero collettivo attraverso la corruzione della lingua.
Perché la crudeltà non usa più parole sporche! Perché l'estrema destra europea e i suoi affiliati in Italia e negli Stati Uniti si sono affannati a riesumare e risignificare questo termine, evitando le vetuste e sgradevoli espulsione o deportazione? La risposta è di una semplicità disarmante, ma efficace: perché la storia è scomoda. Remigrazione permette di aggirare le associazioni storiche più spiacevoli, in particolare i richiami ai crimini dell'Olocausto. La violenza politica non deve essere brutale, deve essere digeribile.
Alcuni deputati della Lega in Italia si fanno promotori di questo verbo lanciando lo slogan "Remigrazione unica soluzione" , o quando i consiglieri regionali, come Alessandro Corbetta, propongono il rimpatrio non solo per i clandestini e criminali, ma anche per gli stranieri che scelgono di non volersi integrare, l'inganno è compiuto.
Lo vedete? Non si tratta più di una fredda questione di status legale. Il criterio di esclusione è diventato ideologico e squisitamente soggettivo: non-assimilazione. È la dottrina Identitaria che, con estrema gentilezza, ti dice: Caro immigrato o discendente di immigrato, hai un'ascendenza razziale che non ci piace. E la tua faccia, o la tua cultura, non sono abbastanza bianche per i nostri standard di omogeneità etno-culturale, quindi, te ne devi andare.
Questa idea, non a caso, è il pilastro del piano di Donald Trump negli Stati Uniti, che ha promesso la più grande operazione di rimozione della storia americana, un’impresa che costerebbe l'irrisoria cifra di 315 miliardi di dollari in un decennio. L'impegno finanziario è così mostruoso da superare i budget di intere agenzie federali; ma d’altronde, la purezza etnica non ha prezzo!
E poi c’è l’Italia, che non poteva mancare all'appuntamento internazionale della cattiveria: il palcoscenico del Remigration Summit tenutosi a Gallarate, un raduno di "patrioti e nazionalisti di tutti i tipi di paesi". L'ideologo austriaco Martin Sellner, mente del piano di deportazione di massa esposto a Potsdam, si è accomodato in Italia per definire il concetto e capire come "implementarlo nei sistemi politici occidentali". Il piano è cristallino: prima si crea un problema ostacolando l’integrazione attraverso dispositivi legislativi repressivi camuffati, e poi si offre la remigrazione come la soluzione a un disagio che è stato strumentalmente causato. Un capolavoro di cinismo.
Tutto questo, naturalmente, in spregio al Diritto Internazionale, che con la sua fastidiosa insistenza sui diritti umani e sul principio di non-refoulement , rende l'espulsione indiscriminata su larga scala di cittadini o residenti di lunga data, basata su criteri etnici, semplicemente illegale e inattuabile. Ma in fondo, perché preoccuparsi delle leggi quando si può inventare uno slogan accattivante?
L'apice di questa nauseabonda retorica viene raggiunto quando la violenza politica si maschera da virtù teologica. Di recente, il ministro Matteo Salvini ha fornito l'esempio definitivo della perversione lessicale, incorniciando il progetto di espulsione di massa con una formula che è un capolavoro di dissonanza cognitiva: «cristianamente se ne devono andare dalle palle».
CRISTIANAMENTE?!
Questo è l'esempio più eclatante e grottesco di come il linguaggio venga svuotato di ogni significato etico per giustificare l'esatto opposto di ciò che professa. La remigrazione, nel suo intento di allontanare milioni di persone, inclusi i non assimilati e i loro discendenti, è un progetto di divisione, di paura e di respingimento. È l'antitesi di ogni principio di carità, accoglienza e dignità umana, valori che sono il fondamento stesso del messaggio cristiano. Che cosa ha a che fare la deportazione forzata, l'etichettatura razziale dei concittadini e la creazione intenzionale di marginalità sociale con l'insegnamento di Cristo di accogliere lo straniero e nutrire gli affamati? Nulla. Il termine cristianamente in questo contesto non è un aggettivo di metodo, ma un cinico strumento di legittimazione, un tentativo di benedire una politica disumana con il sigillo della morale.
A questo punto, sarebbe doveroso invocare l'aiuto del Sommo Pontefice. Sua Santità... come si chiama... ah sì, Leone XIV, tra i mille impegni che lo sovrastano; ha detto la sua pure sulla grave crisi che minaccia il comparto del cinema, e questo dà la misura delle difficoltà del settore da quando a dirigerlo c'è l'elegantissimo ministro Giuli, dovrebbe forse trovare un momento che lo tenga un po' più, come dire... sul pezzo: gli slogan che insultano il Vangelo.
Non dico ricorrere alla scomunica, pratica forse un po' troppo drastica, si potrebbe pensare a un sistema più moderno e in perfetta linea con la burocrazia europea della remigrazione, una sorta di "Patente da Cristiano a Punti". Ogni volta che un esponente politico accosta il cristianesimo in maniera inopportuna per giustificare l’odio, l’esclusione, o la deportazione di massa, si potrebbero togliere dei punti. Al limite, si sospende la patente per sei mesi, obbligando il reo a una rieducazione forzata basata sulla lettura dei Vangeli e, magari, sull'assistenza volontaria ai centri di accoglienza (rigorosamente senza telecamere per i social).
Il velo è strappato. La remigrazione non è una politica: è un eufemismo. E l’eufemismo, come ci ha insegnato Orwell , non è un errore di stile: è una bugia deliberata che puzza di pulizia etnica. Tocca a noi non far finta di non aver capito, anche quando ce la vendono impacchettata con un nastro cristiano.
Consigli per la lettura: Superiori. Il ritorno del mito della razza. Le bugie della scienza sulla superiorità dell'uomo bianco di Angela Saini. Edizioni HarperCollins Italia, 2020
Consigli per la visione: Oltre il Remigration Summit: la destra estrema di Deport Them Now
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