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23/11/2025 11:37:00

Vita, ridotte le condanne per l’aggressione al carnevale

Si chiude in appello, con un forte ridimensionamento delle pene, il processo sull’aggressione avvenuta durante la festa di carnevale a Vita nel 2019. La seconda sezione della Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Gabriella Di Marco, ha assolto Vito Pipitone e Giuseppe Pipitone “per non aver commesso il fatto” e ridotto sensibilmente le condanne per gli altri due imputati: un anno e otto mesi per Vito Musso (classe 1988), un anno e otto mesi per Giovanni Pipitone (classe 1969). Assolti gli altri due imputati.

La Corte ha confermato che non vi fu alcuna matrice mafiosa nell’episodio, smontando l’aggravante contestata dalla Dda e accolta invece in primo grado dal Tribunale di Marsala.

La vicenda

I fatti risalgono al 2019. Enrico Perricone, volontario del servizio ambulanza per la sfilata dei carri, venne aggredito all’interno di un bar dopo aver rifiutato di fare “un giro” con alcuni dei giovani presenti all’evento. Ne nacque una colluttazione e, secondo la ricostruzione accusatoria, gli aggressori tentarono di sottrarre le chiavi dell’ambulanza. Perricone riportò un trauma al ginocchio, giudicato guaribile in 20 giorni.

L’uomo, oggi collaboratore di giustizia, nel corso degli anni aveva contribuito a smantellare alcune reti di spaccio tra Salemi, Vita e Gibellina. Per questo, dopo l’aggressione, aveva lasciato il paese per timore di ritorsioni.

Cosa disse la sentenza di primo grado

Nel 2023 il Tribunale di Marsala aveva inflitto pene pesantissime — quasi vent’anni complessivi — accogliendo la tesi dell’accusa secondo cui quello del 2019 era stato un atto intimidatorio con finalità mafiosa.
Le condanne furono:

  • Vito Musso: 6 anni (figlio del capomafia ergastolano Calogero Musso)
  • Giovanni Pipitone: 5 anni
  • Vito Leone: 4 anni
  • Giuseppe Pipitone: 3 anni e 9 mesi

Il pm della Dda Francesca Dessì aveva chiesto pene ancora più alte: quasi 30 anni complessivi.

La difesa, invece, aveva sempre sostenuto che l’episodio fosse stato un litigio legato a dinamiche locali, senza alcun collegamento con Cosa nostra.

La decisione in appello

La Corte d'appello ha accolto in pieno questa impostazione, ribaltando il cuore dell’impianto accusatorio:

  • nessuna prova di un contesto mafioso,
  • insussistenti i collegamenti con attività intimidatorie organizzate,
  • riconfigurazione dei fatti come semplice lite degenerata,
  • riduzione delle pene agli unici due imputati ritenuti responsabili delle lesioni.

Gli avvocati Paola Saladino, Carlo Ferracane e Giovanni Mannino avevano insistito sulle contraddizioni della parte offesa e sulla sproporzione tra i fatti e l’impianto accusatorio: la Corte gli ha dato ragione.

Le motivazioni: un fatto grave, ma non mafioso

Nell’esaminare le testimonianze, i giudici hanno ritenuto non provate né la rapina né la volontà di intimidire Perricone per il suo precedente ruolo nel volontariato o per le sue collaborazioni investigative.
Resta il fatto, violento e ingiustificabile, della lite e dell’aggressione, per la quale arrivano comunque due condanne definitive – ma non più sotto il cappello dell’aggravante mafiosa.