Mafia, chi vuole riscrivere la storia delle stragi?
L'Italia sta assistendo a un preoccupante e sistematico tentativo di riscrittura della storia degli ultimi trent'anni, con particolare riferimento alle drammatiche indagini sulle stragi del 1992 e 1993. Questo processo, portato avanti da esponenti politici di maggioranza in commissione Antimafia e amplificato da una certa stampa, mira a capovolgere verità giudiziarie ormai consolidate, come emerso chiaramente dalle recenti audizioni in commissione e dalle reazioni alla sentenza della Cassazione sulla confisca dei beni a dell'Utri. Il tentativo è quello di "taroccare" i fatti per far emergere gli elementi di una "stagione giudiziaria rovesciata", per "assolvere, e soprattutto assolversi" in una stagione che vuole disperatamente cancellare il suo passato, fatto di bombe, stragi, e complicità.
Questo progetto di revisionismo si manifesta con forza all'interno della commissione Antimafia, dove la maggioranza sta cercando di riscrivere le storie delle stragi del '92. L'obiettivo sembra essere quello di screditare indagini e sentenze definitive, piegando la commissione ad una visione che non fa giustizia, ma che serve agli atti del parlamento per convenienze politiche.
Un esempio chiave è arrivato dall'audizione dell'ex procuratore di Palermo, Gian Carlo Caselli, che ha smontato la tesi, promossa da settori della maggioranza, secondo cui l'omicidio di Paolo Borsellino sarebbe scaturito dal dossier "mafia-appalti". Caselli ha ribadito che l'inchiesta mafia e appalti non è tra le cause, e "men che meno quella scatenante", dell'uccisione del giudice.
La tesi privilegiata da Caselli per l'accelerazione della strage di via D'Amelio è invece legata al discorso di Borsellino a Casa Professa il 25 giugno 1992. Quel pomeriggio, Borsellino aveva incontrato il generale Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. A Casa Professa, il giudice dichiarò di avere delle "convinzioni" sulla morte di Falcone, ma di poterle riferire solo all'autorità giudiziaria. Questo discorso, secondo Caselli, fu percepito dai mafiosi come una "bomba" pronta a scoppiare che andava disinnescata. A riprova dei timori di Borsellino su altre piste, Caselli ha ricordato come il giudice si confidò con amici pm dicendo di essere stato "tradito da un amico", e che non parlò mai del rapporto mafia-appalti alla moglie Agnese, pur avendole rivelato altri segreti. Caselli ha così indicato che le ragioni della strage sono da ricercarsi in ciò che Borsellino aveva appreso subito dopo l'incontro con gli ufficiali del Ros, puntando il dito lontano dalla pista "mafia-appalti".
Proprio per contrastare questa narrazione, Attilio Bolzoni, sul quotidiano Domani, ha lanciato un appello per la stesura di una relazione di minoranza della Commissione Antimafia incentrata su una "saggezza che si rifiuti di vedere una campagna di trenta anni prima già in Sicilia", ribadendo le conclusioni delle indagini e del processo sulla Trattativa Stato-mafia. Scrive Bolzoni: "Per come vogliono riscrivere la storia delle stragi e per come qualcuno vorrebbe cancellare le tracce lasciate a Palermo nell'estate 1992, in Antimafia è arrivato il momento di prepararsi a stendere una relazione di minoranza che ribalti una verità che non ha verità. Un documento che rimanga per sempre agli atti del Parlamento italiano, una certificazione ufficiale su una maggioranza che si rifiuta di vedere cosa è accaduto più di trenta anni prima giù in Sicilia".
Proprio Attilio Bolzoni sarà oggi a Trapani e domani a Custonaci a presentare il suo ultimi libro, "Immortali", che racconta anche di questi scenari.
La stessa strategia di stravolgimento dei fatti è stata applicata alla recente decisione della Cassazione su Marcello dell'Utri, dove una sentenza tecnica è stata immediatamente "taroccata" e usata per fini di propaganda politica.
La decisione della Cassazione, che ha negato il sequestro dei beni e la sorveglianza speciale (bocciando la tesi della procura del 2020 sul riciclaggio e sulla pericolosità sociale attuale), è stata sfruttata dalla destra per dichiarare che la Cassazione avrebbe chiarito che "non vi fu nessun legame tra Berlusconi, dell'Utri e cosa nostra". Con questo tentativo si è cercato di far credere che si fossero cancellati "anni di menzogne e calunnie" contro i fondatori di Forza Italia.
Questa narrazione è però una manipolazione della verità storica e giudiziaria. La sentenza recente non ha annullato né messo in discussione la condanna definitiva a sette anni del 2014 per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza di condanna del 2014 stabilì in modo definitivo che dell'Utri fu un "concorrente della mafia" dal 1974 al 1992 e mediatore di un patto pluridecennale tra Silvio Berlusconi e cosa nostra per la protezione del cavaliere in cambio di dazioni di denaro. Resta "definitivamente accertato" che dell'Utri, Berlusconi e i boss siglarono un patto, e l'arrivo di Vittorio Mangano ad Arcore fu ricostruito come un "presidio mafioso".
Il tentativo di annullare gli atti sulle stragi e sulle collusioni politiche-mafiose, attraverso l'uso strumentale della giustizia, si conferma un progetto politico in pieno svolgimento.
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