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25/12/2025 06:00:00

La scure sulla Corte dei Conti. Così il governo Meloni riduce i controlli

C’è una parola che torna, insistente, nei documenti e nelle proteste della magistratura contabile: svuotamento. È quella che meglio descrive la riforma della Corte dei conti che il governo Meloni punta ad approvare definitivamente entro la fine del 2025. Una riforma che, dietro il lessico dell’“efficienza” e della “semplificazione”, rischia di cambiare radicalmente il ruolo di uno dei pilastri del sistema di garanzia previsto dalla Costituzione.

 

Il testo è già passato alla Camera, ha superato senza modifiche le commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato e si avvia ora al voto finale in Aula. I tempi sono strettissimi: l’obiettivo dell’esecutivo è arrivare al 30 dicembre, per far entrare in vigore le nuove norme dal 1° gennaio 2026 ed evitare che venga meno lo “scudo erariale” legato al Pnrr. Ma proprio questa corsa contro il calendario è uno degli elementi più contestati.

 

Cos’è (e perché conta) la Corte dei conti

 

La Corte dei conti non è un organismo qualsiasi. È un organo costituzionale, previsto dall’articolo 100 della Carta, con una funzione cruciale: controllare come vengono spesi i soldi pubblici e giudicare gli amministratori che causano danni erariali allo Stato. Un presidio di legalità nato nell’Ottocento – già nel 1862 – proprio per evitare sprechi, favoritismi e mala gestione delle risorse comuni.

Nel tempo, la Corte ha esercitato controlli preventivi, concomitanti e successivi sugli atti della pubblica amministrazione, affiancando a questi una funzione giurisdizionale vera e propria. Un ruolo spesso scomodo, perché capace di bloccare atti, segnalare irregolarità e chiedere conto – anche economicamente – a chi governa.

 

Lo “scudo erariale” e il precedente Pnrr

 

Dal 2020 in poi, con la pandemia prima e con il Pnrr poi, questo sistema è stato progressivamente indebolito. I vari governi hanno introdotto uno scudo erariale, limitando la responsabilità degli amministratori ai soli casi di dolo ed escludendo la colpa grave, soprattutto per gli interventi finanziati con fondi europei.

Una misura temporanea, giustificata dall’urgenza di spendere in fretta. Ma già allora la Corte dei conti aveva avvertito: ridurre i controlli non accelera automaticamente la spesa, può anzi favorire errori e abusi. Oggi, quella che doveva essere un’eccezione rischia di diventare la regola.

 

 

Cosa prevede la riforma

 

Il disegno di legge – noto come ddl Foti – non si limita a prorogare lo scudo. Va molto oltre.

 

1. Riduzione dei poteri di controllo
La Corte verrebbe trasformata sempre più in un organo consultivo, chiamato ad assistere gli amministratori, piuttosto che a vigilare in modo autonomo. Gli atti sottoposti a controllo preventivo verrebbero sottratti al giudizio successivo di responsabilità erariale.

 

2. Presunzione di buona fede
In assenza di dolo, gli amministratori sarebbero sostanzialmente esenti da responsabilità. La colpa grave viene svuotata di efficacia, rendendo quasi impossibile arrivare a condanne per danno erariale.

 

3. Scudo Pnrr “strutturale”
Formalmente non si parla più di proroga dello scudo, ma nella sostanza si elimina il controllo successivo sugli appalti e sulla gestione dei fondi, rendendo la protezione per gli amministratori quasi totale.

 

4. Delega al Governo
La riforma affida all’esecutivo una delega ampia per riorganizzare la Corte: accorpamento delle sezioni territoriali, ridefinizione delle funzioni, rimborso delle spese legali ai dirigenti pubblici coinvolti in procedimenti.

 

Il silenzio-assenso e il rischio sistemico

 

Uno dei punti più controversi riguarda l’introduzione – o l’estensione – del meccanismo del silenzio-assenso. Se la Corte non riesce a esprimersi entro tempi molto ridotti (in alcuni casi 30 giorni), gli atti si considerano automaticamente approvati.

Secondo le stime riportate anche da la Repubblica, questo meccanismo potrebbe riguardare oltre 100 miliardi di euro, inclusi fondi Pnrr e grandi appalti strategici. Con uffici già sotto organico, il rischio è evidente: non controllo per impossibilità materiale, non per scelta.

 

Le critiche: “Un attacco alla legalità”

 

La reazione della magistratura contabile è stata durissima. L’Associazione magistrati della Corte dei conti parla apertamente di “sostanziale cancellazione delle funzioni costituzionali” e di una riforma che mina la responsabilità amministrativa prima ancora che quella penale.

Anche l’opposizione denuncia un disegno politico preciso: indebolire un organo di controllo che negli ultimi anni ha sollevato rilievi scomodi, dal Pnrr al Ponte sullo Stretto, fino alla gestione dei fondi regionali. Non a caso, la riforma arriva dopo una stagione di attriti tra governo e Corte, accusata di “frenare” l’azione amministrativa.

 

Perché riguarda tutti

 

Non è una battaglia tra toghe e politica. È una questione che riguarda la qualità della spesa pubblica, la trasparenza e l’uso dei soldi dei cittadini. Ridurre i controlli non significa automaticamente accelerare i cantieri o migliorare i servizi. Può significare, al contrario, meno responsabilità, meno deterrenza, più spazio per sprechi e clientele.

La Corte dei conti non è infallibile, e può certamente essere resa più efficiente. Ma trasformarla in un organismo addomesticato, privo di incisività, significa togliere un presidio essenziale proprio mentre la gestione di risorse pubbliche – nazionali ed europee – raggiunge livelli mai visti prima.

La riforma è ormai alle battute finali. Se passerà senza modifiche, dal 2026 il sistema dei controlli in Italia non sarà più lo stesso. E la domanda, inevitabile, resta sospesa: chi controllerà davvero come vengono spesi i soldi pubblici?